Integrando i dati delle rilevazioni sulle forze lavoro (300.000 persone rilevate, 600.000 interviste l’anno) e i dati amministrativi sui redditi, Istat è in grado di dirci come redditi familiari e occupazione si sono mossi tra il 2019 e il 2022, vale a dire prima e dopo la pandemia.
Il dato 2022 non sembra attuale, ma qui si tratta di capire come il mercato del lavoro ha vissuto la ripresa, e non ci sono molti altri strumenti per farlo. Istat classifica le persone in cinque classi di reddito: il cosiddetto primo quinto corrisponde al 20% degli italiani che ha i redditi più bassi, e via crescendo. La disponibilità effettiva è calcolata sommando redditi e trasferimenti monetari ricevuti meno le tasse; con un coefficiente familiare per ogni persona viene individuato un reddito individuale effettivamente disponibile.
Come sappiamo il 2022 è stato per il lavoro un anno di ripresa occupazionale: il tasso di occupazione rispetto al 2019 è passato dal 59% al 60,1% (+1,1 punti percentuali), la disoccupazione si è ridotta dal 10,1% al 8,2%, (-1,9 punti). Ma la crescita del tasso di occupazione è ripartita in maniera differente fra le classi di reddito.
Nel 2022 rispetto al 2019 i tassi di occupazione sono cresciuti di più nelle classi di reddito più basse (+2% nel primo quinto e +1,7% nel secondo). Solo in una classe di reddito, la quarta, quella dei redditi medio-alti, il tasso di occupazione è sceso. I tassi di disoccupazione sono scesi molto di più per le classi a redditi bassi: nel primo quinto sono calati del 5%, nel secondo quinto del 2,9%. La notizia è buona, ma la situazione non cambia molto: la classe a reddito più basso ha un tasso di occupazione pari al 37,7%, il 20% dei più ricchi ha un tasso di occupazione del 78,5%, più del doppio.
Il tasso di occupazione è cresciuto in tutte le classi di età nei livelli più bassi di reddito (i primi tre quinti). I giovani tra i 25 e i 34 anni vedono l’occupazione crescere in tutti i quinti di reddito, ma soprattutto in quello più basso (+3,9 punti).
Il tasso di occupazione aumenta al crescere del livello di istruzione, con un vantaggio crescente per i laureati. Nel quinto più povero i più istruiti raggiungono un tasso di occupazione pari al 54,7% (+23,4 punti percentuali rispetto a chi ha al massimo la licenza media), mentre nel quinto più ricco il tasso è del 89,1% (+31,7 punti rispetto ai meno istruiti).
Altri fattori che legano positivamente tassi di occupazione alti e redditi medio alti sono il genere (più maschi che femmine), la tipologia contrattuale (cresce il tempo indeterminato nei redditi medi e crescono i contratti a termine per i redditi bassi) e il settore economico in cui si lavora. Nei servizi personali e negli Alberghi e ristoranti trova lavoro circa il 5% degli individui dei due quinti più poveri, nel Commercio e nei servizi di Trasporto si trovano le quote più elevate di individui nella penultima classe di reddito, come del resto avviene nell’Industria in senso stretto.
Insomma, la crescita occupazionale nelle classi più povere, che povere e disoccupate restano, avviene in alcune mansioni e con contratti instabili. Non proprio una crescita di qualità, che invece va a beneficio della classe a reddito più elevato, mentre soffrono a livelli diversi le classi medie.
Per tracciare la stabilità dei redditi da lavoro Istat ha seguito le carriere nel tempo, per un arco di 7 anni fra il 2015 e il 2021 compresi. In questo periodo di tempo per i lavoratori occupati nel 2022 il reddito medio annuo è stato di circa 20.000 euro, con una variabilità negli anni del 54%, che dipende dal fatto che non tutti i lavoratori hanno lavorato tutti gli anni.
I lavoratori con redditi più bassi della media e variabilità più alta sono i dipendenti a tempo determinato, a part-time involontario e gli autonomi senza dipendenti; i settori in cui prevalentemente lavorano sono i servizi personali, l’agricoltura, le costruzioni, gli alberghi e i ristoranti. Dal punto di vista demografico si tratta di donne, giovani e stranieri prevalentemente nel Mezzogiorno del Paese.
Insomma, al di là della difficoltà di leggere più variabili assieme, il rapporto evidenzia i legami fra stati occupazionali e redditi. L’analisi chiarisce che l’uscita dalla pandemia e la crescita occupazionale, confermata anche ieri per il 2023 e per i primi 2 mesi del 2024, è avvenuta principalmente attraverso tre dinamiche: la leggera riduzione occupazionale delle classi a reddito medio, compensata dalla crescita della stabilità, la crescita ridotta ma di qualità nelle classi a reddito più alto e la crescita instabile e in alcune aree dei servizi per i redditi bassi, che bassi e precari restano.
Certo, meglio lavorare che non far nulla, e meglio un reddito basso e instabile che nessun reddito, ma se il salario non basta più per garantire consumi regolari, sicurezza e progressione sociale, cosa ci darà una maggiore domanda interna e cosa darà stabilità allo sviluppo?
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