Nell’attuale dibattito politico/elettorale si parla molto (forse troppo) delle eventuali misure contro la povertà. Decisamente meno si discute del lavoro che vorremmo o che, perlomeno, c’è in questo difficile momento per il nostro Paese ma non solo. In questo quadro sono certamente utili per una riflessione i dati periodicamente registrati dal sistema Excelsior Unioncamere che indagano sulle richieste di lavoratori da parte del tessuto imprenditoriale italiano.
Sono, ad esempio, ben 524 mila i lavoratori ricercati dalle imprese per il mese di settembre, 2 mila in meno (-0,4%) rispetto a quanto programmato un anno fa. In frenata il comparto manifatturiero (-13,6%, pari a 15mila posti in meno rispetto a settembre 2021) e soprattutto il commercio (-30,0%, con una diminuzione di oltre 25mila contratti sempre rispetto a 12 mesi fa).
Continua, allo stesso tempo, a crescere la difficoltà di reperimento segnalata dalle imprese, che interessa ben il 43,3% delle assunzioni programmate, in aumento di circa 7 punti percentuali rispetto a settembre dello scorso anno, quando il “mismatch” tra domanda e offerta di lavoro riguardava “solamente” il 36,4% dei profili ricercati.
Quasi un’assunzione su tre (31,7%) riguarda, quindi, i giovani fino a 29 anni d’età.
Tra le figure maggiormente ricercate tra i giovani ci sono, in particolare, quelle “High skills” come i tecnici in campo informatico, ingegneristico e della produzione (10mila assunzioni programmate nel mese), così come altre qualifiche che sono, almeno sulla carta, meno qualificanti come cuochi, camerieri e commessi.
Interessante notare, allo stesso tempo, come dal punto di vista prettamente contrattuale il tempo determinato si confermi la forma d’impiego maggiormente proposta con ben 269 mila posizioni, pari al 51,4% del totale delle richieste. Seguono poi i contratti a tempo indeterminato (96mila), i contratti di somministrazione (58mila), i contratti di apprendistato (26mila) e i contratti di collaborazione (9mila).
È, comunque, utile ricordare come su queste dinamiche stia, certamente, incidendo il continuo rialzo dei costi dell’energia e delle materie prime, con i relativi effetti sull’inflazione e sui consumi, dovuta all’attuale guerra in corso nella nostra Europa.
Il lavoro, insomma, nel nostro Paese, sembra esserci anche se non sempre, probabilmente, particolarmente attraente in termini economici e di stabilità ma non solo. Le ragioni “storiche” di queste criticità strutturali per il nostro Paese sembrano, ahimè, eluse, tuttavia, dallo scontro elettorale di queste settimane. La sensazione è che questo accada anche perché le risposte presuppongono un ragionamento sull’Italia non facilmente sintetizzabile nelle 140 parole di un banale slogan su Twitter.
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