Due recenti pubblicazioni consentono – fino a tutto il 2022 – di avere un quadro organico del lavoro straniero in Italia, con le sue ricadute sull’economia, il welfare, la partecipazione al mercato del lavoro, il fisco, l’abitazione e quant’altro. Si tratta della pubblicazione a cura del Coordinamento statistico attuariale dell’Inps, le cui banche dati sono essenziali per la valutazione del lavoro regolare degli stranieri, per i redditi percepiti e per le prestazioni erogate. Va segnalato poi il Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione a cura della Fondazione Leone Moressa (edito da Il Mulino). Una segnalazione a sé merita il Rapporto della Caritas sulla povertà.
Allo scopo di avere chiare le dimensioni del fenomeno, iniziamo l’analisi – che non potrà spaziare sull’intera materia proprio per la sua ampiezza – dalle statistiche fornite nei giorni scorsi dall’Inps sul lavoro degli immigrati nel nostro Paese. In dieci anni (dal 2013 al 2022) la rilevazione è passata da 3.438.627 a 4.159.880 stranieri residenti ed evidentemente dotati di documenti regolari proprio perché censiti dall’Istituto di previdenza sulla base delle prestazioni erogate. Di questi 3.630.154 sono lavoratori (87,3%), 304.510 pensionati (7,3%) e 225.216 percettori di prestazioni a sostegno del reddito (5,4%). L’unità statistica di rilevazione è il cittadino straniero – presente negli archivi amministrativi Inps dei lavoratori, dei pensionati e dei beneficiari di disoccupazione – classificato come “non comunitario”, se in possesso di regolare permesso di soggiorno, oppure “comunitario”, se nato in un Paese dell’Unione europea. I comunitari sono ulteriormente suddivisi in “comunitario nato in uno dei Paesi esteri dell’Ue a 15” (esclusa Italia ovviamente) e “comunitario nato in uno dei restanti Paesi esteri dell’Ue”.
Analizzando i dati per singolo Paese, nel 2022 si confermava una forte presenza di romeni che con 707.166 soggetti rappresentano il 17,0% di tutti gli stranieri regolari presenti sul territorio nazionale. Seguivano gli albanesi (406.595, 9,8%), i marocchini (323.158, 7,8%), i cinesi (217.121, 5,2%), gli ucraini< (205.710, 4,9%) e i filippini (131.002, 3,1%). Nel complesso queste sei nazioni totalizzavano circa la metà degli stranieri rilevati (47,9%). I cittadini stranieri sono a prevalenza maschile (56,2), ma con differenze notevoli tra singoli Paesi. Il tasso più alto è detenuto da Pakistan (94,6), Bangladesh (93,6), Egitto (91,7), Senegal (83,7), India (78,8) e Marocco (71,7). Al contrario Ucraina, Moldova, Perù e Filippine sono Paesi per i quali prevale la componente femminile. Analizzando la distribuzione per età, va osservato che gli stranieri non comunitari sono generalmente più giovani di quelli provenienti dai Paesi comunitari. In particolare, nel 2022, quasi la metà (45,1%) degli stranieri non comunitari aveva meno di 39 anni (il 32,1% tra gli stranieri comunitari), il 44,3% tra i 40 e i 59 anni (contro il 52,5% degli stranieri comunitari) e il 10,6% più di 60 anni (contro il 15,4% degli stranieri comunitari).
Quanto alla distribuzione territoriale risultava che il 61,7% (2.569.713 ) degli stranieri comunitari e non comunitari risiedeva o aveva una sede di lavoro in Italia settentrionale, mentre il 23,5% (975.761) si trovava in Italia centrale e il 14,8% (613.458) nell’Italia meridionale e Isole. Questi dati non devono sorprendere. Essendo la grande maggioranza degli stranieri dei lavoratori è normale trovarli residenti nelle aree più sviluppate e con maggiori opportunità di occupazione. Rispetto alla popolazione residente, al Nord l’incidenza di stranieri regolarmente presenti nel nostro Paese era tre volte superiore che al Sud: 9,4 stranieri su 100 residenti in Italia settentrionale, 8,3 in Italia centrale e 3,1 in Italia meridionale e Isole. A livello nazionale tale incidenza si attestava nel 2022 a 7,1 stranieri su 100 residenti.
Nel 2022 gli stranieri dipendenti privati erano 3.140.197, con una retribuzione media annua di € 15.261,87, ma con differenze settoriali. I dipendenti del settore privato non agricolo erano 2.316.034 e presentavano una retribuzione media annua pari a € 17.490.98 (€ 19.311,42 per gli uomini e € 14.187,15 per le donne); nel settore privato agricolo lavoravano 285.395 stranieri, con netta prevalenza di genere maschile (73,5) e con una retribuzione media annua di € 9.061,97 (€ 9.600,62 gli uomini e € 7.567,18 le donne). I lavoratori domestici stranieri erano 538.768 e si caratterizzavano per una netta prevalenza femminile (gli uomini erano solo il 13,4%) con una retribuzione media pari a € 8.963,65 (€ 9.050,03 per gli uomini e € 8.950,23 per le donne).
È interessante valutare (nel Rapporto della Fondazione Moressa) il contributo dei lavoratori immigrati al fisco. Nel 2022 il numero delle dichiarazioni dei redditi (riferiti al 2021) ha raggiunto un massimo storico. I contribuenti nati all’estero sono arrivato a 4,31 milioni (+3,4% rispetto all’anno precedente in piena pandemia ) con riferimento a 64 miliardi di redditi dichiarati (+9,3%) e un’Irpef versata pari a 9,6 miliardi (+14,8%). Tra i contribuenti nati all’estero, il 45,5% ha dichiarato un reddito inferiore a10mila euro, tra i nati in Italia a questa classe di reddito si attesta il 28% dei contribuenti. Nella fascia tra 10mila e 25mila euro le due platee si avvicinano (40,7% per i nati all’estero e 39,6% per i nati in Italia). Man mano che aumentano i redditi la differenza tra autoctoni e stranieri si amplia; tra 25mila e 50mila euro le percentuali sono rispettivamente l’11,7% e il 25,8%. Nella fascia oltre i 50mila euro i nati all’estero sono solo il 2,1% contro il 6,5% gli italiani. Oltre metà dei contribuenti stranieri è residente in 4 regioni: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio. In Emilia Romagna, Friuli VG, Trentino AA i contribuenti sono il 14% del totale a fronte del 10% complessivo. Mediamente un contribuente nato all’estero ha dichiarato 15.410 euro, 8 mila in meno di quello medio di un italiano. Il differenziale Irpef nel 2021 è stato rispettivamente pari 3.460 per un straniero contro 5.650 per un italiano.
E l’impatto sulla spesa pubblica? La Fondazione ha stimato il costo dell’accoglienza che è uno degli argomenti più tossici usato da quanti si impegnano in campagne contro l’invasione. Nei centri di accoglienza nel 2021 c’erano 78mila presenze. Ciò significa che per ogni immigrato presente temporaneamente nei Centri (78mila) a carico dello Stato ci sono circa 30 immigrati che lavorano e versano i contributi. Più in generale, per quanto riguarda la spesa sanitaria vi sono ricerche di carattere regionali significative perché ospitato un numero elevato di stranieri. In Lombardia l’incidenza della popolazione straniera sulla spesa sanitaria è pari al 7%, in Emilia Romagna al 6,4%. Mentre su 130 miliardi di spesa sanitaria nel 2021 si possono attribuire alla componente straniera 6,4 miliardi (il 5%). La bassa incidenza è di natura demografica e dipende dalla più giovane età dei residenti stranieri (la popolazione con più di 65 anni è pari al 2%).
Per quanto riguarda la scuola (l’Italia spende in tutto circa 60 miliardi) gli alunni con cittadinanza straniera erano, nell’anno 2020-2021, 865mila. Seguendo il metodo basato sull’incidenza degli utenti, la spesa per stranieri viene cifrata in 6,3 miliardi (il 10%). Sui servizi locali e casa la spesa per questi utenti è stimata pari a 1,3 miliardi. Tralasciando altri aspetti considerati e stimati nel Rapporto, la spesa pensionistica relativa ai cittadini stranieri totali (comunitari e non) è di 2,2 miliardi (lo 0,7%). A questa vanno aggiunte le spese per le altre prestazioni previdenziali e assistenziali (disoccupazione, cig, assegno unico, Rdc, ecc.) pari a 6,2 miliardi (il 3,2% del totale). Complessivamente la spesa “sociale” per gli immigrati – includendo tutte le voci – arrivava nel 2021 a 27,4 miliardi pari al 2,8% dell’intera spesa pubblica.
Tirando le somme, il gettito fiscale e contributivo e sociale, nel 2021, ha assicurato a carico degli immigrati 29,2 miliardi. Quindi il bilancio si chiude con un segno positivo.
Per avere conferma che di certi delicati temi si parla “a orecchio” basta leggere i dati sul rilascio dei permessi di soggiorno in Europa. A trainare il gruppo nel 2021, secondo il Rapporto, è stata la Polonia (970mila permessi) pari a un terzo del totale (forse hanno pesato i profughi ucraini). Seguono la Spagna (372mila, il 12,6% del totale), la Francia (285mila, 9,7%), l’Italia (274 mila, 9,3%, il numero più elevato degli ultimi dieci anni). Nel 2020 da noi sono stati solo 106mila. Gli stranieri contribuiscono per il 9% al Pil italiano.
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