C’è un Paese raccontato e uno reale. Tra i due mondi vi sono evidentemente (non potrebbe essere altrimenti) delle giustapposizioni, degli aspetti del racconto che trovano riscontro nella realtà. Ma di solito la gran parte del racconto è viziato da punti di vista precostituiti che tendono a forzare la realtà per dimostrare una tesi e seguire le indicazioni di Joseph Goebbles: ripetete la stessa bugia (o parziale verità ) un numero infinito di volte per farla accettare da tutti come una verità o come un luogo comune.



Che cosa si dice, ad esempio, dell’occupazione giovanile? Passiamo oltre la narrazione in voga tra i sindacati – che poi è recepita acriticamente nei talk show televisivi – per i quali la condizione del giovane occupato è quella della precarietà; assumiamo la versione della Agenzia nazionale per la gioventù (della quale non è nota neppure l’esistenza) che insieme al Consiglio nazionale dei giovani  hanno presentato il nuovo rapporto “Giovani 2024: Bilancio di una Generazione”. Il documento rivela dati preoccupanti riguardanti la demografia, l’istruzione e l’occupazione, evidenziando in modo particolare la riduzione demografica dei giovani, il fenomeno della fuga di cervelli, la precarietà lavorativa e la disuguaglianza territoriale e di genere.



L’Italia si confronta con una sfida demografica di vasta portata, evidenziata da un calo significativo nella sua popolazione giovane. Negli ultimi due decenni abbiamo assistito a una riduzione di quasi 3,5 milioni di giovani under 35, con un tasso di decremento di circa il 21%. Questo fenomeno ha colpito particolarmente il segmento femminile, con una diminuzione di quasi il 23% contro il quasi 20% maschile. Un confronto che a livello europeo pone l’Italia in una posizione allarmante: siamo gli ultimi per incidenza di giovani, ben sotto la media dell’Unione europea.

La fuga di cervelli si manifesta in modo preoccupante, con quasi 18 mila giovani laureati che hanno lasciato il Paese in aumento del 281% nel 2021 rispetto al 2011. Questo scenario si accompagna a una crescente instabilità nel mercato del lavoro, dove il precariato coinvolge il 41% degli under 35, evidenziando una condizione di incertezza e discontinuità lavorativa che affligge in modo particolare i più giovani.



Come ha scritto Italo Calvino occorre sforzarsi di “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. È opportuno allora segnalare un recente report del Censis e di Confcooperative che coglie e descrive alcuni aspetti nuovi e interessanti dell’occupazione giovanile: molti giovani non si mettono a cercare il lavoro, ma se lo creano in qualità di imprenditori. Sono loro gli Eet (Employed Educated and Trained), gli anti-Neet, i giovani italiani diventati protagonisti di quell’economia delle competenze che esprime una crescente domanda di capitale umano altamente qualificato. Si intravede un’occupazione di “nuovo conio”. Secondo il rapporto, sta avanzando un piccolo esercito, 144.000 giovani tra i 15 e i 29 anni che, grazie all’autoimprenditorialità, aprono attività in diversi settori, prevalentemente innovativi e tecnologici, battono la crisi, fanno impresa e creano lavoro. Di questi 144mila giovani imprenditori il 35,4% è presente nel Mezzogiorno, il 28,5% nel Nord Ovest, il 16,7% nel Centro, e infine il 19,4% nel Nord Est. Dal 2016 al 2023, l’incidenza dei giovani sul totale degli imprenditori italiani scende dal 6% al 5,3%.

La comunicazione, mediata da strumenti sempre più sofisticati, ha generato un mercato su cui i giovani si stanno proponendo come principali erogatori di servizi, fino a monopolizzare l’offerta e ad assumere, in questo campo, un livello di competenza che asseconda il ritmo dell’innovazione continua che spiazza le generazioni precedenti.

Il numero dei giovani occupati supera la soglia dei 3 milioni, di cui circa 1,8 milioni di uomini e 1,2 milioni di donne, vale a dire il 13,3% del totale degli occupati, e si stima che corrispondano al 6,6% del totale delle retribuzioni lorde da lavoro dipendente e sui profitti da lavoro indipendente. Il valore complessivo raggiunge i 52,2 miliardi di euro, il 2,5% del Pil.

Aumenta notevolmente – secondo il Rapporto – il numero di titolari giovani di imprese in diversi settori specifici: fra il secondo trimestre del 2017 e il secondo trimestre del 2024 triplicano (+228,7%) le imprese giovanili che si occupano di pubblicità e ricerche di mercato, e aumentano del 206,4% quelle che offrono servizi di direzione aziendale e consulenza gestionale. Incrementi altrettanto rilevanti si registrano nella produzione cinematografica, televisiva e musicale (+65,9%), nella produzione di software e consulenza informatica (+52,4%), nei servizi postali e di corriere (+44,1%), nelle attività di leasing operativo e noleggio (+35,5%).

L’evoluzione del mercato occupazionale giovanile italiano evidenzia una marcata tendenza verso una “economia delle competenze“, con una crescente domanda di capitale umano altamente qualificato. Il significativo incremento del 3,1% nella quota di occupati con laurea e post-laurea, che ora costituisce il 23,5% del totale, rappresenta un chiaro indicatore di questa transizione. Parallelamente, la contrazione del 2,7% tra gli occupati con licenza media segnala una progressiva marginalizzazione delle competenze di base. Questa dicotomia spiega la profonda ristrutturazione del tessuto produttivo nazionale verso settori a elevato valore aggiunto e intensità tecnologica, che necessitano di una forza lavoro dotata di skill avanzate e specialistiche. Tale evoluzione nel panorama occupazionale pone l’Italia di fronte alla sfida cruciale di allineare il sistema formativo alle esigenze di un’economia sempre più imperniata su competenze e sull’innovazione continua, per evitare il rischio di un mismatch strutturale tra domanda e offerta di skill.

La stabilità della quota di diplomati (59,9% nel 2023) suggerisce che questo gruppo rimane il più rappresentativo tra i giovani occupati sottolineando l’importanza di politiche che promuovano non solo l’istruzione superiore, ma anche percorsi formativi diversificati e allineati alle esigenze del mercato, garantendo al contempo pari opportunità di accesso e progressione di carriera indipendentemente dal genere. Subiscono però diminuzioni significative alcuni settori: le imprese di attività ricreative (arte, sport, intrattenimento, -38%), le attività di sanità e assistenza sociale (-40,2%), il commercio all’ingrosso e al dettaglio (32,7%) e le attività di alloggio e di ristorazione (-31,8%).

Il settore in cui si può dire che vi sia stato un cambio significativo delle proporzioni giovani/over 30 è il settore della pubblicità e delle ricerche di mercato. Infatti, un quinto (20,2%) delle imprese di questo settore è a conduzione giovanile, con aumento del 12,3% dal secondo trimestre 2017.

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