Vedendo i dati dei flussi del 2022, l’Inps dovrebbe avere il buon gusto e l’onestà intellettuale di cambiare nome all’Osservatorio sulla precarietà, giacché, a suo tempo, anche l’ente di via Ciro il Grande fu preso dalla vaghezza di rappresentare il mercato del lavoro come una “terra di nessuno” in balia della precarietà, secondo la vulgata che andava e va per la maggiore nei talk show di regime e nei discorsi di Maurizio Landini e del suo collega Bombardieri. Infatti, nel corso del 2022 i flussi nel mercato del lavoro (assunzioni, trasformazioni, cessazioni) hanno completato la ripresa dei livelli pre-pandemici, compromessi nel biennio 2020-2021 dall’emergenza sanitaria con le connesse chiusure e restrizioni, evidenziando anzi incrementi rispetto al 2019 sia nei movimenti di ingresso-uscita (assunzioni e cessazioni), sia nelle trasformazioni da rapporti a termine in rapporti a tempo indeterminato.
Le assunzioni attivate dai datori di lavoro privati extra-agricoli nel corso del 2022 sono state 8.059.000, con un aumento dell’11% rispetto al 2021. La crescita ha interessato tutte le tipologie contrattuali, risultando accentuata sia per i contratti a tempo indeterminato (+18%), sia per le diverse tipologie di contratti a termine (intermittenti +16%, apprendistato +11%, tempo determinato e stagionali +10%, somministrati +5%). La dinamica delle assunzioni nel 2022 è stata più accentuata per le classi di dimensione aziendale oltre i 15 dipendenti: oltre il 17% per la classe da 16 a 99 dipendenti, attorno al 15% per la classe 100 e oltre. Per le piccolissime imprese (fino a 15 dipendenti) l’incremento è stato limitato al 4%.
Per quanto riguarda le tipologie orarie, l’incidenza del part-time è rimasta stabile nell’insieme delle assunzioni a termine (37%), mentre è diminuita nelle assunzioni a tempo indeterminato, dove è scesa dal 35% al 32%. Le trasformazioni da tempo determinato nel corso del 2022 sono risultate 751.000, in forte e continuo aumento rispetto allo stesso periodo del 2021 (+43%). Contemporaneamente, anche le conferme di rapporti di apprendistato giunti alla conclusione del periodo formativo – pari a 114.000 – risultano essere aumentate rispetto all’anno precedente, seppure di un modesto 4%. Le cessazioni nel 2022 sono state 7.617.000, in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+16%) per tutte le tipologie contrattuali: contratti intermittenti (+27%), contratti a tempo determinato e stagionali (+18%), contratti in apprendistato (+14%), contratti a tempo indeterminato (+12%) e contratti in somministrazione (+11%).
Da marzo 2021 (il mese successivo all’insediamento del Governo Draghi), il saldo su base annua ha registrato il continuo recupero dei livelli occupazionali, in precedenza compressi dalla pandemia. A dicembre 2022 si è registrato un saldo positivo pari a 441.000 posizioni di lavoro. Per il tempo indeterminato, la variazione è risultata pari a +336.000 unità, mentre per l’insieme delle altre tipologie contrattuali la variazione è stata pari a +105.000 unità (in dettaglio: +43.000 per i rapporti a tempo determinato, +32.000 per gli intermittenti, +18.000 per gli apprendisti, +6.000 per gli stagionali e i somministrati).
Per quanto riguarda i dati per area geografica, con riferimento sia agli ultimi dodici mesi che al triennio (si considera cioè la variazione tra dicembre 2022 e dicembre 2019), a consuntivo del 2022 si registra una crescita, rispetto a dicembre 2019 (vale a dire alla vigilia della pandemia), delle posizioni di lavoro a tempo indeterminato pari a +706.000 unità; l’incremento delle altre tipologie contrattuali, sempre nel medesimo triennio, è stato pari a 388.000 unità. I maggiori contribuiti alla crescita sono stati assicurati dalle costruzioni (+271.000 nel triennio, +79.000 nell’ultimo anno) e dal terziario professionale (+233.000 nel triennio, +101.000 nell’ultimo anno), al cui interno evidenzia un peso particolare il segmento della consulenza informatica.
Sempre nel corso del 2022, accanto alla crescita dei rapporti di lavoro è proseguito il processo di riassorbimento della Cassa integrazione che aveva avuto il suo massimo sviluppo ad aprile 2020 con 5,6 milioni di dipendenti interessati. A maggio 2021 i lavoratori in Cig risultavano scesi a poco meno di 1,5 milioni con una media mensile pro capite di 69 ore. Nel 2022, dopo le oscillazioni invernali, è ripresa tra la primavera e l’estate la tendenza al riassorbimento della Cig. A ottobre 2022 (cui si riferiscono gli ultimi dati disponibili) i cassintegrati risultavano 271.000 (a ottobre 2021 erano ancora 689.000) con una media di 40 ore pro capite (a ottobre 2020 erano 62 e a ottobre 2021 56).
Nel report viene esposta la disaggregazione dei contratti in somministrazione secondo la tipologia contrattuale, distinguendo i rapporti a tempo indeterminato e quelli a termine (che includono sia i contratti a tempo determinato che stagionali). Nel corso del 2022, rispetto al corrispondente periodo, le assunzioni in somministrazione sono aumentate per entrambe le tipologie contrattuali: tempo indeterminato +61%, a termine +3%. Anche per le cessazioni si rileva un aumento per le due tipologie contrattuali, rispettivamente +26% per i contratti a tempo indeterminato e +11% per quelli a termine. Il saldo annuale – e quindi la variazione tendenziale – è risultato appena positivo nel 2022 (+6.000), esito peraltro di un incremento dello stock di posizioni di somministrazione a tempo indeterminato (+24.000) a fronte di un decremento delle posizioni a termine (-18.000).
La consistenza dei lavoratori impiegati con Contratti di prestazione occasionale (Cpo) a dicembre 2022 si è attestata intorno alle 15.000 unità (valore sostanzialmente in linea con quello di dicembre 2021); l’importo medio mensile lordo della remunerazione effettiva risultava pari a 293 euro. Per quanto attiene ai lavoratori pagati con i titoli del Libretto Famiglia (LF), a dicembre 2022 essi risultano circa 10.000, in diminuzione del 12% rispetto a dicembre 2021; l’importo medio mensile lordo della loro remunerazione effettiva risulta pari a 155 euro. Non a caso il Governo ha deciso di tornare ai voucher tenendo conto che, con la digitalizzazione, viene garantita una riduzione delle possibili truffe e abusi, come quelli denunciati nel sistema cartaceo.
L’Osservatorio analizza anche i motivi delle cessazioni nel 2022. Il confronto con l’anno precedente è significativo, perché nel 2021 è stato in vigore, sia pure in modo parziale il blocco dei licenziamenti; e circolava la leggenda metropolitana che alla sua conclusione si sarebbe aperta una fase di licenziamenti di massa, essendo venuto meno lo scudo protettivo della sospensione. I dati dimostrano che l’andamento dell’economia fornisce più garanzie di occupazione che non le norme di divieto.
Analizzando le cessazioni dei contratti a tempo indeterminato con riferimento alla causa, si evidenzia un forte aumento nel 2022 rispetto al 2021 dei licenziamenti di natura economica (+41%): proprio quella tipologia che fino al 30 giugno 2021, per gran parte dell’industria, e fino al 31 ottobre 2021, per il terziario e il resto dell’industria, i licenziamenti economici erano bloccati dalle normative introdotte nel 2020 a fronte dell’evento pandemico. È più pertinente, allora, il confronto con il 2019, che potrebbe essere considerato un anno normale. Nel caso dei licenziamenti economici si è rilevata una contrazione: circa 127.000 licenziamenti in meno (-25%). In crescita invece risultano i licenziamenti disciplinari: circa 36.000 in più nel 2022, rispetto al corrispondente periodo del 2019.
La controprova è fornita dalle dimissioni da rapporti di lavoro a tempo indeterminato, le quali registrano un incremento nel 2022 pari al+10% rispetto al corrispondente periodo del 2021 e del +24% rispetto al 2019. Il livello raggiunto (1.256.000) mette in evidenza il completo recupero delle dimissioni mancate del 2020, quando tutto il mercato del lavoro era stato investito dalla riduzione della mobilità connessa alle conseguenze dell’emergenza sanitaria.
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