Il rapporto annuale della Svimez conferma che il Mezzogiorno sta lentamente affondando. Non in senso assoluto, visto che il Pil cresce seppur di poco, ma perde sempre più il contatto con le aree a maggior sviluppo del Paese. In più, per il biennio prossimo è prevista una crescita del Mezzogiorno inferiore a quella del resto di Italia, il che condanna all’assoluta impossibilità di ogni ipotesi di riallineamento tre le diverse aree del Paese.



La questione non ha più la dimensione di un’emergenza non compresa. Il Pnrr, che resta essenziale anche per raggiungere gli striminziti numeri della crescita, aveva nelle intenzioni e nelle premesse una rapida risalta della crescita al Sud destinando a quelle aree risorse percentualmente molto superiori a quelle che attualmente sono programmate. L’impatto del Pnrr è ancora essenziale per la crescita del Pil (circa il 2% cumulato nel biennio prossimo, se verrà tutto attuato), ma ha evidentemente non centrato l’obiettivo. Le conseguenze si leggono nei dati  relativi alla composizione sociale del Mezzogiorno. Crescono le famiglie in povertà assoluta (circa il 10%, in incremento sugli anni precedenti) nonostante cresca anche l’occupazione. Il dato (+2,4 nel Mezzogiorno) non deve ingannare. I nuovi occupati sono retribuiti in modo meno ricco rispetto alle altre regioni e il fatto è spiegabile con la storica carenza di industrie nel territorio. Infatti, mentre nel Nord la crescita è legata all’incremento della produzione industriale per oltre il 25%, nel Mezzogiorno l’industria contribuisce solo per il 10%. Il che si traduce in minimi margini di ricchezza da distribuire tra gli occupati che, nel settore dei servizi, hanno retribuzioni mediamente inferiori. Il tutto si traduce in una spinta centrifuga all’abbandono delle nuove generazioni più formate, in cerca di migliori carriere e opportunità.



Il Mezzogiorno, in pratica, resta un luogo in cui si fa fatica a creare catene di valore ad alto valore aggiunto con la conseguenza che il sistema, seppur in crescita, non riesce a dare la spinta necessaria al Pil e al benessere delle persone. Lo svuotamento delle aree interne e in generale l’abbandono delle nuove generazioni diventa inevitabile. Processo destinato ad aggravarsi anche per fattori di politica industriale. La perdita dei grandi player industriali  nazionali, che delocalizzano in altri Paesi, i costi alti per energia e trasporti, uniti al sostanziale abbandono di una politica industriale governata centralmente, rendono la strada ancor più irta.



Neppure le Zes hanno funzionato. Estese a tutto il Mezzogiorno, dotate di poche risorse, appaiono orami inutili meccanismi di semplificazione (parziale) senza il boost di una politica fiscale di reale vantaggio per chi voglia insediarsi nel Meridione. In pratica la scelta appare chiara. Il mercato, inteso come individuale  iniziativa di singoli, se vuole investire a suo rischio nel Meridione può farlo. Al sistema Italia poco interessa. E il messaggio è ancor più chiaro se si unisce alla recente crisi dell’ex Ilva di Taranto pronta a essere di fatto dismessa.

Il quadro appare molto più fosco dei primi vagiti post-pandemici che sembravano segnare un’inversione di rotta nella lettura del problema Mezzogiorno, da tema quasi quotidiano è passato ad argomento di politica costituzionale con l’autonomia differenziata e, nel frattempo, si è perso un abbrivio importante che per rilanciare una politica di re-industrializzazione intelligente del Sud che avrebbe fatto al fortuna di tutta l’Italia.

In questo contesto gli effetti demografici, come lo spostamento di centinaia di migliaia di ragazzi al nord e che alimentano la “bolla milanese”, la perdita di capacità competitiva del sistema del Mezzogiorno e il prossimo default degli enti locali, incapaci di finanziarsi con le imposte (la cui raccolta diviene sempre più ridotta in quei territori a causa del loro depauperamento) appaiono effetti impossibili da invertire. In pratica il Mezzogiorno è oggi più solo. Meno centrale nel dibattito politico, meno essenziale come tema geopolitico, se la dovrà spicciare in solitudine. Una solitudine aggravata dal fatto che il trend della popolazione nei prossimi decenni lo trasformerà (secondo Svimez) da serbatoio di giovani a deposito di anziani.

I dati dicono che saranno solo anziani a basso reddito a popolarlo negli anni a venire divenendo, di fatto, un peso in termini economici e sociali ancor più grave di quanto oggi non lo sia. Se il Governo ha in mente qualcosa per far sì che tutto ciò non accada farà bene a fare presto, dimostrando che aver rivisto il Pnrr, aver esteso le Zes con pochi soldi per tanti ipotetici interventi, aver riprogrammato i fondi sulle infrastrutture privilegiando altre aree del Paese sia caso. Per Svimez pare non lo sia, i suoi dati sono chiari.

Si attende la reazione (se ci sarà) della politica locale e dei partiti tutti a questo scenario. Visti i precedetti, però, appare probabile che le cose andranno come sempre. Ma le responsabilità, almeno, appariranno più chiare agli storici.

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