Turismo colpito e quasi affondato dagli effetti della pandemia. Con effetti riscontrabili anche nell’attività di investimento alberghiero, come risulta chiaramente dall’ultimo “Italy hotel investment report” di Ernst & Young, il colosso mondiale di consulenza e revisione. Lo studio di EY rivela che il volume degli investimenti alberghieri in Italia a dicembre 2020 è stato di poco superiore a 1 miliardo di euro, con 31 transazioni, in calo del 68% rispetto al picco raggiunto nel 2019, che però è stato un anno record: rispetto ai volumi degli ultimi cinque anni il calo si può calcolare intorno al -25%. “Ciò significa – commenta Marco Zalamena, partner di Ernst & Young responsabile per il settore Hospitality – che l’interesse per il mercato è rimasto più o meno intatto, nonostante tutto. I prezzi e i rendimenti sono rimasti sostanzialmente in linea con il periodo pre-Covid”.



La più grande operazione registrata è la vendita da parte di Varde Partners degli hotel Dedica Anthology a Covivio (circa 330 milioni per gli immobili italiani), mentre il più grande affare di asset singolo è stata la vendita da parte di Elliott/Blue Skye del Palazzo Bauer di Venezia all’investitore austriaco SIGNA. Gli investitori nazionali hanno rappresentato il 23% del volume totale delle transazioni nel 2020, focalizzato sulle transazioni di hotel esistenti e su una limitata transazione di progetti di sviluppo; la stessa tendenza è confermata dagli acquirenti internazionali. Il report EY conferma Venezia quale destinazione più attrattiva per gli investitori alberghieri, con 413 milioni di euro in investimenti, il 39% degli investimenti totali nel 2020, stimolata da operazioni di alto livello come il Palazzo Bauer e gli asset inclusi nel Portafoglio Di Dedica Antologia (Hotel Bellini e Grand Hotel Dei Dogi). Roma si è classificata al secondo posto (26%), con un calo significativo rispetto all’anno precedente (-48%), seguita da Firenze (11%) e Milano (7%). Venezia – in termini di valore per camera d’albergo – rimane la città più costosa (in media 540 euro per camera), seguita da Roma (248), Firenze (200) e Milano (90). 



Nonostante il Covid-19, la percezione dell’Italia come core market alberghiero è confermata. L’elevata quota di investimenti a valore aggiunto negli ultimi anni suggerisce che prossimamente verrà messo sul mercato un numero crescente di hotel ristrutturati o riposizionati.

“Direi però che la situazione cambia radicalmente se si considerano non le proprietà, ma le gestioni – continua Zalamena -. Le prime infatti hanno potuto contare sulla cassa integrazione per il personale, le moratorie sui finanziamenti e certi sgravi fiscali, i secondi su nulla, spesso senza riuscire a rinegoziare gli affitti, grazie a una lacuna di legge, che non obbliga alla revisione dei canoni nel caso non si riesca a profittare del bene. Il fatto è che se per una società qualsiasi l’affitto dei locali incide solo marginalmente sui suoi margini operativi, per una società di gestione alberghiera la quota arriva anche a superare il 20%. Ma se il fatturato crolla e l’affitto resta uguale… Bisognerebbe prevedere correttivi: in Inghilterra, ad esempio, vista la crisi derivata dalla pandemia, gli affitti sono stati sospesi. In Italia, però, sono frequentissimi i casi di intere famiglie proprietarie di strutture alberghiere, difficilmente portate a rinunciare ai loro consueti flussi di reddito. Da qui i frequenti abbandoni di attività da parte dei gestori in difficoltà, che spesso tentano di vendere i loro contratti prima di arrivare al default. Situazione ben diversa quando le proprietà fanno capo a grandi gruppi, disposti a considerare il rapporto fiduciario con i gestori a lungo termine, e quindi in maniera anche più sostenibile”.



“Certo – aggiunge Zalamena – nelle trattative incide anche l’eventuale fragilità della struttura: se è ubicata in una zona remota, ‘stagionale’ o di scarso appeal, la proprietà sarà più incline a ritrattare i canoni, con riduzioni o dilazioni nei pagamenti, se invece l’hotel è in una città affascinante, come ad esempio Venezia, la trattativa si blocca e la proprietà, nel caso di abbandono del gestore, riuscirà in breve a surrogarlo”. 

Comunque, secondo il report di EY, nonostante le incertezze legate al Covid-19, gli investitori sono ancora alla ricerca di opportunità nel mercato alberghiero italiano, anche se con l’aspettativa di tagli significativi dei prezzi. I venditori però sembrano riluttanti ad abbassare le loro aspettative sui prezzi, contando su un pieno recupero delle operazioni ai livelli pre-Covid nel breve-medio termine (2022-23). Con gli investitori – prevalentemente internazionali – che guardano al settore con un punto di vista più opportunistico e Cassa depositi e prestiti che ha lanciato il Fondo Nazionale del Turismo con una dotazione di 2 miliardi finalizzata all’acquisizione di iconici hotel italiani, nel 2021 EY prevede una ripresa del mercato degli investimenti alberghieri. 

“Tra il 2009 e il 2012 – dice Zalamena – il settore turismo aveva registrato una crisi di sviluppo. Oggi la crisi è molto più pervasiva, nel mondo dei viaggi, ma lo sviluppo non s’è mai fermato: tutti sono alla ricerca di nuove opportunità. Faccio un esempio: ho appena iniziato a trattare un grande albergo di Roma, e sono arrivate già più di venti richieste. In realtà, arriviamo da vent’anni di crescita continua, con il 2019 che ha registrato volumi impressionanti. Adesso si può dire che il mercato si sia un po’ regolarizzato: si sta andando verso più transazioni a prezzi forse più corretti, anche se tra le aspettative di sconti degli acquirenti (specie per strutture di fascia medio-bassa) e la resistenza dei venditori insiste ancora un certo gap. Va anche detto, infine, che quando i prezzi scendono davvero il mercato tende alla paralisi, visto che chi vende, se può, rinvia nell’attesa di tempi migliori…”.

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