Lo scoppio della guerra in Ucraina e l’alta dipendenza dall’import di gas russo accelerano la crescita dei prezzi delle commodities energetiche, con l’Italia più esposta ai conseguenti effetti recessivi. Il maggior utilizzo di gas per la produzione di energia elettrica spinge in alto il prezzo del chilowattora per famiglie e imprese, che a febbraio segna in Italia una crescita ampiamente divergente rispetto a quella dei competitor di Germania e Francia, i quali, nel cuore dell’Europa green, beneficiano della maggiore produzione di elettricità con carbone e nucleare, a fronte di una riduzione dell’apporto delle rinnovabili.
L’aumento del prezzo del gas sta mettendo sotto pressione la bolletta energetica dell’Italia. Dopo la revisione della scorsa settimana da parte dell’Istat, il valore dell’import di gas nel 2021 sale del 138,9% rispetto al 2021, combinazione di un aumento dei prezzi del 122,0% e di una crescita dei volumi del 7,6%. A dicembre 2021 il prezzo del gas importato sale del 255,3% rispetto ad un anno prima. Con la guerra la situazione è peggiorata: le quotazioni del gas europeo (TTF) a marzo (media al 21 marzo) sono del 23,8% superiori a quelli, già molto alti, di dicembre, e risultano 8,3 volte quelli di dodici mesi prima.
La straordinaria escursione delle quotazioni sui mercati internazionali si riverbera già, in modo pesante, sui prezzi dell’energia pagati in Italia, caratterizzati da una più alta velocità di crescita rispetto agli altri Paesi europei. L’esame degli indici dei prezzi al consumo pubblicati da Eurostat giovedì scorso conferma che la maggiore inflazione energetica in Italia è trainata dall’energia elettrica, il cui prezzo a febbraio 2022 sale dell’81,9% rispetto dodici mesi prima, a fronte del +12,9% della Germania e il +4,9% della Francia (+10,4% nella media dei due Paesi), un ritmo quasi triplo del +34,3% della media dell’Eurozona. Anche il prezzo del gas cresce di più in Italia (+64,4%), con un differenziale, seppur più contenuto rispetto a quello dell’energia elettrica, di oltre venti punti rispetto alla media del +41,4% dell’Eurozona.
Questa forte crescita dei prezzi, divergente rispetto ai competitor europei, avrà ricadute pesanti sulle imprese italiane. Stiamo già assistendo a diffusi casi di lockdown energetico. A gennaio 2022, nel settore del vetro, ceramica e cemento, un settore con più intensità energetica, la produzione in Italia cala del 5,7% rispetto a dicembre, mentre per i competitor europei di Francia e Germania addirittura aumenta, rispettivamente, del 5,5% e dell’8,1%.
Si sta ampliando in modo insostenibile il gap di competitività dei prezzi di elettricità e gas, che già prima dello shock energetico erano più elevati in Italia: nel primo semestre del 2021 le imprese italiane pagavano prezzi per l’energia elettrica del 12,9% superiori al prezzo medio dell’Eurozona e del 5,3% rispetto alla media di Francia e Germania. Con un’evoluzione del prezzo per le imprese che replica quello dei prezzi armonizzati, nel primo bimestre 2022 il gap di prezzo sull’elettricità per imprese in Italia sarebbe superiore del 53,1% rispetto all’Eurozona, addirittura del 71,7% rispetto alla media pagata dai competitor di Francia e Germania. Questa differente evoluzione di prezzo rispetto alla media dei competitor tedeschi e francesi determina per le micro e piccole imprese italiane (con consumi annui fino a 500 MWh), nell’ultimo anno, un extra costo di 6.193 milioni di euro.
Alla radice della divergente evoluzione dei prezzi europei del chilowattora, oltre alle differenze nei sistemi regolatori e nelle strutture di mercato, si trova il mix della generazione elettrica, che in Italia è molto sbilanciato sul gas. Sulla base dei dati pubblicati nei giorni scorsi dall’Agenzia internazionale dell’energia dell’Ocse (IEA, International Energy Agency), nel 2021 l’Italia è il terzo paese dell’Unione europea a 27 per produzione di elettricità, ma sale al primo posto per energia elettrica prodotta con il gas, con una quota del 47,9% sul totale dell’elettricità prodotta, quasi trenta punti superiore al 18,3% della media dei 27 Paesi dell’Ue.
Il vantaggio competitivo delle imprese francesi è basato su una generazione elettrica dominata dal nucleare (67,4%), mentre il minore dinamismo dei prezzi per le imprese tedesche dipende dall’alta quota di elettricità prodotta con il carbone (29,3%) e l’ancora sostenuta produzione con il nucleare (11,6%), una fonte che la Germania ha programmato di abbandonare nel 2022.
A fronte del deragliamento del prezzo nel corso del 2021, Francia e Germania hanno ridotto l’utilizzo del gas rispetto all’anno precedente, mentre l’Italia lo ha aumentato. In parallelo, la Germania ha ridotto l’elettricità prodotta da rinnovabili (-5,9%), aumentando del 23,5% la produzione con il carbone e del 7,4% quella con il nucleare.
All’elevato utilizzo di gas nella generazione elettrica nel nostro Paese, si associa l’alta dipendenza dalle importazioni di gas dalla Russia. Secondo l’ultimo confronto europeo disponibile, nel 2020 il 43,3% del gas importato dall’Italia proviene dalla Russia, a fronte del 38,1% dell’Unione europea a 27. Sulla base dei dati, ancora provvisori, delle importazioni in volume del Dipartimento per l’Energia del ministero della Transizione ecologica, nel 2021 la quota della Russia è scesa di 3,4 punti; tra gli altri Paesi fornitori si osservano riduzioni di 8,5 punti della Norvegia, di 2,3 punti della Libia, di 1,5 punti degli Stati Uniti e di 1 punto del Qatar (da questi ultimi due paesi importiamo gas naturale liquefatto), a cui fanno fronte gli aumenti di 9,9 punti della quota di Azerbaijan – grazie all’apporto del Tap – e di 8,3 punti di quella dell’Algeria.
Già dopo la crisi di Crimea del 2014, l’Unione europea indicava la necessità di ridurre la dipendenza dal gas della Russia. Detto, ma non fatto: la Germania, tra il 2013 e il 2020, ha ridotto le importazioni di gas di 17,4 miliardi di m3, ma ha aumentato quelle dalla Russia di 12,5 miliardi, anche grazie al collegamento diretto del Nord Stream 1, aperto nel 2011. La quota della Russia sull’import tedesco di gas passa dal 40,9% del 2013 al 65,2% del 2020. L’Italia, nel 2021, importa dalla Russia 29,0 miliardi di m3 di gas dalla Russia, il 3,3% in più dei 28,1 miliardi del 2013; va comunque ricordato che nell’arco di tempo esaminato diminuisce di 5,4 punti la quota dell’import di gas russo, riduzione più che compensata dai maggiori flussi di gas algerino e azero.
Lo scoppio della guerra ha portato al pettine i numerosi nodi della politica energetica. I maggiori costi per le imprese italiane determinati da una alta tassazione delle commodities energetiche, nonostante la minore intensità di emissioni della nostra economia. La bassa presenza di rigassificatori, e il loro più basso utilizzo – stimato al 50% da una recente analisi di Bruegel – riduce la concorrenza tra i fornitori. La complessa regolazione del mercato europeo rende difficile l’applicazione di un tetto al prezzo del gas (price cap), mentre sul fronte delle rinnovabili, il solare cresce molto poco – nel 2021 la Spagna ha sorpassato l’Italia – e la siccità riduce la produzione di energia idroelettrica, una fonte rinnovabile che pesa circa un terzo del gas utilizzato per produrre elettricità.
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