È passato un anno dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. In questi dodici mesi abbiamo registrato un terremoto sui mercati energetici globali a cui sono seguiti segnali di reazione delle imprese italiane che hanno allontanato, almeno per ora, lo spettro di una stagflazione (recessione con alta inflazione).
Nel primo trimestre del 2023 il Pil dell’Italia stimato dalle previsioni d’inverno della Commissione europea è dell’1,6% superiore a quello dell’ultimo trimestre del 2021, precedente allo scoppio della guerra, una performance migliore di quelle di Germania (+1,0%) e Francia (+0,6%).
Nel confronto tra le due maggiori economie manifatturiere europee, a dicembre 2022, al netto della stagionalità, la produzione manifatturiera in Italia è superiore dello 0,7% rispetto a febbraio, in controtendenza rispetto al calo del 3,2% registrato in Germania. Nonostante una crescita dei prezzi alla produzione più contenuta di 1,4 punti alla media dell’Eurozona, nei dieci mesi di guerra le esportazioni del made in Italy crescono del 19,7%, 1,7 punti in più rispetto alla Francia e addirittura 6 punti in più del +13,7% registrato dalla Germania. Sul mercato dei cambi, nell’anno di guerra si è registrato l’indebolimento dell’euro sul dollaro (-10,8% su base annua).
Nei primi dieci mesi di guerra l’export verso la Russia è sceso di 2,0 miliardi di euro, pari al 30,6% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, un calo meno accentuato di quello registrato dalla media Eurozona (-45,2%), dalla Germania (-55,1%) e della Francia (-64,6%). Nel dettaglio si sono ridotte di 446 milioni (-23,6%) le vendite di macchinari made in Italy, di 390 milioni (-34,5%) quelle di prodotti della moda e di 309 milioni (-80,8%) quelle di mezzi di trasporto.
Sempre tra marzo e dicembre 2022 la produzione delle costruzioni sale del 10,0% su base annua, a fronte del debole aumento (+0,9%) in Francia e del marcato calo in Germania (-3,6%). L’impulso dell’edilizia si manifesta anche nella demografia di impresa: il settore delle costruzioni contribuisce per il 42,7% al saldo di 48mila unità tra aperture e chiusure di imprese registrate nel 2022 (+0,8%).
La crescente inflazione e il caro bollette spiazza la spesa delle famiglie, con il volume delle vendite al dettaglio tra marzo e dicembre 2022 in discesa dell’1,7% su base annua, mentre nello stesso arco di tempo si consolida il recupero del turismo post-pandemia, con le presenze che, tra marzo e novembre 2022, segnano un aumento del 32,1% su base annua.
Nonostante l’indebolimento del clima di fiducia delle imprese, nei mesi successivi all’invasione dell’Ucraina si assiste a una crescita della domanda di lavoro, in particolare per quello stabile. Tra febbraio e dicembre 2022 gli occupati sono saliti di 260mila unità (+1,1%), grazie all’apporto di 251mila dipendenti in più (+1,4%), aumento completamente determinato dalla componente a tempo indeterminato che cresce di 315mila unità (+2,1%) mentre quella a tempo determinato diminuisce di 64mila unità (-2,1%). Più debole (+0,2%) la spinta sull’occupazione indipendente, il segmento del mercato del lavoro più colpito dalla pandemia (-167mila occupati da febbraio 2020). Nel confronto europeo, tra febbraio e dicembre 2022, il tasso di disoccupazione in Italia è sceso di 0,7 punti percentuali, facendo meglio di Germania e Francia (entrambe con un calo di 0,2 punti). La critica gestione della partita in corso sui bonus in edilizia mette a rischio 157mila addetti nelle micro e piccole imprese delle costruzioni in caso di inesigibilità di 19,3 miliardi di euro di crediti incagliati.
Da luglio 2022 a febbraio 2023 la Bce ha incrementato di 300 punti base i tassi di interesse di riferimento e gli effetti sui tassi pagati dalle imprese sulle nuove operazioni di finanziamento bancario sono già rilevanti, con un aumento di 246 punti base tra febbraio e dicembre 2022. Considerato l’aumento di 148 punti base dei tassi medi sulle consistenze, si stima un maggiore costo del credito per le imprese fino a 50 addetti, su base annua, pari a 5,1 miliardi di euro. In parallelo, si registra la “crescita zero” dei prestiti alle imprese a dicembre 2022, in decelerazione rispetto al +4,7% di agosto e al +1,3% registrato a febbraio 2022. La stretta monetaria rallenta gli investimenti, influenza negativamente la propensione a innovare e la dinamica della produttività, ostacolando i processi di transizione green e digitale delle imprese.
La ricaduta della stretta monetaria sono evidenti anche sulla spesa pubblica per interessi: il rendimento medio dei Btp decennali emessi a dicembre 2022 è dell’3,96%, in aumento di 257 punti base rispetto all’1,39% delle emissioni di febbraio.
Con lo scoppio della guerra si è aggravata la crisi energetica iniziata nel 2021, portando al parossistico deragliamento estivo delle quotazioni del gas europeo, con rilevanti ricadute sui costi dei beni energetici acquistati da imprese e famiglie. Sulla base dei dati pubblicati ieri da Eurostat, tra marzo 2022 e gennaio 2023 i prezzi al consumo di beni energetici in Italia salgono del 51,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ben 15,6 punti in più rispetto al +36,2% dell’Eurozona. Nel dettaglio il prezzo del gas è salito del 67,7% e quello dell’energia elettrica addirittura è più che raddoppiato, salendo del 113,7%, a fronte del +21,9% di Germania e al +7,5% della Francia; meno accentuato il caro carburanti, che segna un +15,4%, meno severo del +21,9% dell’Eurozona, ma con il gasolio che sale del 21,3%, un ritmo più che doppio rispetto +9,5% della benzina.
La vistosa differenziazione dell’inflazione energetica e la frammentazione degli interventi anticiclici nei Paesi dell’Ue amplia il gap di competitività delle imprese italiane. Nel confronto internazionale aggiornato da Bruegel, gli aiuti statali contro il caro energia in Germania superano di 2,2 punti di Pil quelli dell’Italia, un gap che vale 41,9 miliardi di euro.
Si dilata la bolletta energetica, a seguito del raddoppio (+113,6%) nei primi dieci mesi di guerra delle importazioni di energia, interamente generato dall’aumento dei prezzi di acquisto (+115,0%) mentre i volumi segnano una leggera flessione (-0,7%). Più della metà (52,3%) delle maggiori importazioni energetiche derivano dall’impennata (+163,0%) del valore degli acquisti dall’estero di gas, mentre, tra marzo e dicembre 2022, il volume di gas importato scende dell’1,8% su base annua, combinazione di un aumento del +45,5% dell’import di gas naturale liquefatto (GNL) e di una riduzione del 9,4% del flusso in ingresso attraverso i gasdotti; più che dimezzato il flusso di gas proveniente dalla Russia, controbilanciato dalle immissioni provenienti da Paesi Bassi, Norvegia, Azerbaigian e Algeria, che nel corso del 2022 diventa il primo fornitore di gas dell’Italia.
Infine, da segnalare come la crisi energetica ha stimolato le imprese a uno switch verso input di energia meno costosi, oltre che a marcati incrementi di efficienza energetica: tra febbraio e dicembre 2022, nonostante il consumo industriale di gas crolli del 17,0%, la produzione manifatturiera mostra un tenuta (-0,3%). Una ricaduta positiva della drammatica crisi energetica potrebbe, quindi, essere rappresentata da una strutturale riduzione delle emissioni della manifattura italiana.
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