I dati degli ultimi anni confermano che la povertà è una condizione crescente per troppi nuclei familiari: i dati ufficiali più recenti denunciano che “nel 2022 sono poco più di 2,18 milioni le famiglie in povertà assoluta, per un totale di oltre 5,6 milioni di individui (…) l’incidenza a livello familiare risulta pari all’8,3% e quella individuale arriva al 9,7%” (Istat, 25 ottobre 2023 – dati 2022, ultimi dati ufficiali).
A fronte di questa situazione, nel nostro Paese i primi interventi sistematici di contrasto alla povertà sono stati avviati nel 2018-2019 in via sperimentale con il Rei (Reddito di inclusione), seguiti dal Reddito di cittadinanza (2019-2023 – a giugno è stato pubblicato un rapporto valutativo finale dell’esperienza del Rdc) e dal recente Assegno di inclusione (in vigore dal 1 gennaio 2024). Molto si è discusso di questi interventi, anche perché le tre misure sono espressione di tre distinti orientamenti politici e culturali: quello che si deve ricordare, però, a partire dai dati reali, è che non basta introdurre misure contro la povertà, se non si tiene conto della dimensione familiare. Il Rei, per esempio, ha avuto come destinatari nuclei con minori nel 76,6% dei casi, mentre il Reddito di cittadinanza è stato erogato a nuclei con minori solo in un terzo dei casi (36,5% a fine 2019, 29,8% nel 2023 – cfr. Cisf Family Report 2023, pp. 216-226). Evidentemente il primo ha saputo intercettare in modo significativo la povertà minorile, il secondo solo in modo marginale.
In ogni caso, oltre due milioni di famiglie in povertà assoluta, cioè senza reddito adeguato per soddisfare i bisogni essenziali: una dignitosa condizione abitativa, consumi alimentari adeguati, fino alla possibilità di accedere a istruzione e sanità di qualità. Troppi poveri, quindi, nel nostro Paese, con una preoccupante tendenza all’aumento.
Emerge poi una maggiore vulnerabilità soprattutto per le famiglie con figli: è molto più probabile essere in condizione di povertà se ci sono figli (soprattutto se sono minori). Ridiamo ancora la parola all’Istat: “anche nel 2022 l’incidenza di povertà assoluta è più elevata tra le famiglie con un maggior numero di componenti: raggiunge il 22,5% tra quelle con cinque e più componenti e l’11,0% tra quelle con quattro. Segnali di peggioramento provengono dalle famiglie di tre componenti (8,2% da 6,9%). Il disagio più marcato si osserva per le famiglie con tre o più figli minori dove l’incidenza arriva al 22,3%; e, più in generale, per le coppie con tre o più figli (20,7%). Anche per le famiglie di altra tipologia, dove spesso coabitano più nuclei familiari, si osservano valori elevati (15,6%), così come per le famiglie monogenitoriali (11,5%). L’incidenza di povertà assoluta nelle tipologie familiari in cui l’età della persona di riferimento è superiore ai 65 anni sono più contenute (…). In generale, si confermano valori decrescenti dell’incidenza all’aumentare dell’età della persona di riferimento; infatti, le famiglie più giovani hanno minori capacità di spesa poiché dispongono di redditi mediamente più bassi e di minori risparmi accumulati nel corso della vita o beni ereditati” (Istat, 25 ottobre 2023).
In breve, per fare sintesi tra tutti questi numeri, una famiglia su 11 in Italia è in povertà assoluta, ma se ha tre figli minori questa proporzione diventa 1 a 5: ogni cinque famiglie con tre figli, una vive in povertà assoluta(!).
I dati sull’Assegno unico hanno invece confermato che questa misura è riuscita diminuire la povertà delle famiglie con figli, ma non in modo decisivo. Attendiamo ora con grande vigilanza i dati sul neonato Assegno di inclusione, che peraltro ha esplicitamente inserito le famiglie con figli minori come una delle condizioni che consentono l’accesso alla misura. Perché contrastare la povertà significa prima di tutto ricordarsi che la dimensione familiare è decisiva, per il benessere delle persone e per lo sviluppo della società.
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