Analizzando i dati sulla povertà assoluta nel nostro Paese evidenziamo che il parametro della spesa per consumi – che anche Istat usa – appare più adeguato del criterio del reddito nel cogliere il livello di malessere, però indica i costi di beni e servizi acquistati, non la mutevolezza nella disponibilità dei servizi pubblici e privati e di altri elementi che incidono sulla qualità della vita. Sono soprattutto i beni pubblici e i servizi a differenziare fortemente le fasce di popolazione, per cui nella povertà assoluta possono ricadere anche lavoratori poveri, o famiglie e individui che a parità di condizioni economiche vivono in aree peggio assistite da servizi pubblici inefficienti o carenti.
Le statistiche Istat sulla povertà del 2022 ci dicono che erano in condizione di povertà assoluta poco più di 2,18 milioni di famiglie (8,3% del totale da 7,7% nel 2021) e oltre 5,6 milioni di individui (9,7% in crescita dal 9,1% dell’anno precedente) e teniamo conto che a fine 2023 le nuove soglie di povertà assoluta rappresentano il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia per evitare gravi forme di esclusione sociale nel contesto di riferimento. Ma attenzione: l’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie con almeno uno straniero è pari al 28,9%, si ferma invece al 6,4% per le famiglie composte solamente da italiani.
Si consideri che Istat finalmente ha aggiornato i criteri di misurazione presentati nel novembre 2023 e ha esteso la riflessione sulla misura della povertà assoluta ai più recenti approcci di tipo multidimensionale e al superamento di una visione esclusivamente basata sui dati di spesa monetaria, con uno sguardo attento anche alle altre componenti del benessere, non solo a quelle di natura strettamente economica, poiché fino all’anno precedente la definizione di povertà assoluta si riferiva all’incapacità di acquisire i beni e i servizi necessari a raggiungere uno standard di vita ritenuto minimo accettabile per evitare forme di esclusione sociale nel contesto di appartenenza.
Se partiamo dal contesto, dunque, dobbiamo considerare che la scelta di investire enormi risorse sul Superbonus 110 ha sottratto all’istruzione e alla sanità pubblica la possibilità di migliorarne l’accesso a scapito della cittadinanza priva di mezzi che ne ha subito e ne sta subendo le conseguenze. I Lea restano sulla carta perché non possono essere definiti a invarianza di spesa, ma solo con maggiori risorse ed esistono 20 sistemi di sanità pubblica quante sono le regioni e i ritardi nell’accesso ai servizi sociosanitari rendono le persone con poche risorse ancora più fragili e povere.
Il Servizio sanitario nazionale deve riservare attraverso il fondo nazionale a ogni cittadino a prescindere dal reddito a titolo di quota capitaria come quantificazione economica del diritto di fruire dell’assistenza sanitaria essenziale ma non omnicomprensiva ed è per questo necessaria una sinergia tra il sistema pubblico e l’autonomia privata su una divisione di ruoli e funzioni. Finché non mettiamo ordine nella governance del Ssn avremo sempre più impoverimento come dimostra la Legge di bilancio 2024 da cui emerge il totale non finanziamento della legge delega 33/2023 prevista dal Pnrr sull’invecchiamento attivo e la non autosufficienza, che ha nelle famiglie italiane i problemi di maggiore difficoltà. La spesa nella sanità privata nel 2022 ha raggiunto i 401 miliardi di euro registrando una crescita dello 0,6% medio annuo, dato peraltro influenzato dalla riduzione dei consumi dovuti alla pandemia, ma l’incremento nell’ultimo anno è stato del 5%. La difficoltà dell’uso efficiente dei fondi per la ricerca scientifica, per esempio in epidemiologia e oncologia, è data dalla complicazione dei processi amministrativi a fronte della scadenza ravvicinata per usarli. Abbiamo una fuga di medici chirurghi esponenziale: la professione non attira più e il rischio contenziosi fa il resto; non di meno la mancanza di medici di base, di personale sanitario in generale alla quale è bene capire che quota 100 del sistema pensionistico ha contribuito enormemente così come il blocco delle assunzioni e dei salari. Gli interventi di sanità pubblica sono fondamentali per lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese, pena l’impoverimento progressivo inarrestabile.
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