L’Istat ha reso noto i conti trimestrali degli aggregati economici, imprese, famiglie e amministrazioni pubbliche, per il quarto trimestre del 2023 e a questo punto anche per l’intero anno. Non avendo spazio per un bilancio dettagliato di quanto avvenuto per tutti i settori iniziamo da quello di maggior interesse, le famiglie consumatrici (escluse dunque le famiglie che esercitano direttamente e non tramite società attività produttive).



La prima grandezza da considerare è il reddito lordo disponibile, stimato in termini nominali e depurato degli effetti della stagionalità.  Per l’insieme delle famiglie consumatrici esso è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, mentre nel terzo trimestre era aumentato dell’1,5%. È invece cresciuto, sempre nel quarto trimestre, del 3,3% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente e del 4,7% nell’intero anno rispetto al 2022.



Si può dunque sostenere che l’anno sia andato abbastanza bene, tuttavia con un peggioramento sul finire del medesimo. Ma sin qui la valutazione ha riguardato il reddito nominale, mentre quello che conta è il suo potere d’acquisto, la sua dinamica in termini reali una volta depurata dell’aumento dei prezzi dei beni di consumo. Nel trimestre l’Istat stima un aumento dello 0,4% del deflatore implicito dei consumi delle famiglie che va dunque a sommarsi alla perdita in termini nominali e porta allo 0,5% la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie. Rispetto allo stesso trimestre dell’anno prima, esso è invece aumentato del 2,1%, segnando un’inversione di tendenza rispetto a quanto avvenuto nei trimestri precedenti, ma non tale da capovolgere il bilancio dell’intero anno. Nell’intero 2023 resta infatti una riduzione dello 0,5% del potere d’acquisto delle famiglie rispetto al 2022.



Come hanno influito questi dati sulle scelte delle famiglie riguardo al livello dei consumi e alla propensione al risparmio? Nel quarto trimestre le famiglie hanno ridotto i consumi dell’1% rispetto al terzo, dunque più della riduzione del potere d’acquisto, scegliendo di aumentare la quota del risparmio. Rispetto allo stesso trimestre dell’anno prima, invece, i consumi sono aumentati dell’1,5%, anche in questo caso in misura inferiore rispetto all’aumento del reddito. Infine, nell’intero 2023 i consumi sono cresciuti al tasso del 6,5%, nonostante il calo del potere d’acquisto.

Grafico 1 – Reddito lordo disponibile e consumi delle famiglie (dati trimestrali destagionalizzati in milioni di euro)

Il Grafico 1 illustra il reddito disponibile lordo nominale delle famiglie dall’anno prima del Covid sino alla fine del 2023 e la spesa per consumi. Da esso si possono vedere gli effetti del Covid sia sui redditi, prontamente neutralizzati dalle politiche pubbliche, che sui consumi, penalizzati nelle fasi di lockdown e successivamente risaliti più velocemente rispetto ai redditi. Nel 2023 si è tuttavia assistito a un rallentamento della crescita sia degli uni che degli altri. La differenza nel grafico tra redditi è consumi ci fornisce una misura dei redditi risparmiati, che è tuttavia meglio rappresentata dalla propensione al risparmio, che è in percentuale la quota di reddito risparmiata su quello disponibile.

Grafico 2 – Propensione al risparmio e tasso di investimento delle famiglie (dati in % del reddito disponibile)

Il Grafico 2 evidenzia la forte crescita della propensione al risparmio nei periodi del Covid. Dall’8% in media nell’anno prima del Covid essa è salita sino oltre il 15% e ha quasi raggiunto il 20% nei periodi più intensi dell’epidemia per poi ridiscendere piuttosto velocemente sino a valori inferiori al pre-Covid nella seconda metà del 2022 e in tutto il 2023. Pur in risalita sino al 7% nello scorso quarto trimestre, essa in media d’anno è stata tuttavia del 6,3%, dunque un valore inferiore al pre-Covid. In sostanza le famiglie italiane hanno sostenuto la loro spesa per consumi nell’ultimo biennio caratterizzato da elevata inflazione attingendo ai risparmi accumulati non in maniera volontaria durante il periodo del Covid in cui le possibilità di spesa erano limitate.

Il Grafico 2 mostra anche il tasso d’investimento delle famiglie, che riguarda nel loro caso esclusivamente l’investimento in immobili. In relazione a esso si vede il grande effetto degli incentivi fiscali che lo hanno fatto salire dal 5,5% dell’anno prima del Covid sino a oltre il 9%, valore sul quale è rimasto sino a tutto l’anno che si è concluso.

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