Se ci sei batti un colpo. Dimenticata da Dio e dagli uomini, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione ha fornito sue notizie riferite alla fine del 2022. Per dare un giudizio sintetico potremmo avvalerci del Manzoni: “Adelante, Pedro. Con juicio!”. Le posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari (Fondi pensione, aperti e chiusi, preesistenti e PIP) sono 10,3 milioni, in crescita di 564.000 unità (+5,8%) rispetto alla fine del 2021. A tali posizioni, che includono anche quelle di coloro che aderiscono contemporaneamente a più forme, corrisponde un totale degli iscritti di 9,2 milioni (+5,4%). Quanto alle diverse tipologie, nei fondi negoziali si registrano 349.000 posizioni in più rispetto alla fine dell’anno precedente (+10,1%), per un totale di 3,806 milioni di aderenti.
L’incremento continua a dipendere principalmente dall’apporto delle adesioni contrattuali (circa 200.000), ossia quelle basate sui contratti collettivi in essere che prevedono l’iscrizione automatica dei nuovi assunti dei settori di riferimento e il versamento di un contributo minimo a carico del datore di lavoro. Ha contribuito alla crescita delle posizioni in essere l’attivazione dell’adesione anche attraverso il meccanismo del silenzio-assenso per i neo-assunti del pubblico impiego (circa 80.000). Nelle forme pensionistiche di mercato si rilevano 106.000 posizioni in più nei fondi aperti (+6,1%) e 84.000 posizioni in più nei PIP “nuovi” (+2,3%); alla fine di dicembre, il totale delle posizioni in essere in tali forme è pari, rispettivamente, a 1,842 milioni e 3,697 milioni di unità.
Va subito sottolineato in numero dei PIP di poco inferiore a quello degli aderenti ai fondi negoziali; il che denota un limite dell’esperienza italiana poiché la previdenza complementare a capitalizzazione dovrebbe essere un prodotto di uso collettivo, affidato alla contrattazione tra le parti sociali. Per altro i PIP costituiscono la forma più onerosa per quanto riguarda i costi, non sempre adeguatamente compensati dai maggiori rendimenti.
Le risorse destinate alle prestazioni sono, a fine dicembre 2022, pari a 205 miliardi di euro. Va detto, però, che, per effetto delle perdite in conto capitale determinate dall’andamento dei mercati finanziari, le risorse sono diminuite di circa 7,7 miliardi rispetto a dicembre del 2021. Nei fondi negoziali, l’attivo netto è di 61 miliardi di euro; esso ammonta a 28 miliardi nei fondi aperti e a 45 miliardi nei PIP “nuovi”. Nel corso del 2022 i contributi incassati da fondi negoziali, fondi aperti e PIP sono stati pari a 13,9 miliardi di euro (+4,2% rispetto al 2021). L’incremento si riscontra in tutte le forme pensionistiche, variando dal 4,5% per i fondi negoziali, al 7,8% per i fondi aperti, al 2% per i PIP.
Abbiamo già anticipato che nel 2022 vi è stata una consistente riduzione delle risorse destinate alle prestazioni, in conseguenza dei risultati delle forme complementari che hanno risentito del calo dei corsi dei titoli azionari e del rialzo dei tassi di interesse nominali, che a sua volta ha determinato il calo dei corsi dei titoli obbligazionari. I rendimenti netti sono pertanto risultati negativi e pari, in media tra tutti i comparti, a -9,8% e a -10,7%, rispettivamente, per fondi negoziali e fondi aperti; nei PIP di ramo III essi sono stati pari a -11,5%. Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dalle cedole incassate sui titoli detenuti, il risultato è stato pari all’1,1%. Valutando i rendimenti su orizzonti più propri del risparmio previdenziale, nei dieci anni da inizio 2013 a fine 2022 il rendimento medio annuo composto, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, è stato pari al 2,2% per i fondi negoziali, al 2,5% per i fondi aperti, al 2,9% per i PIP di ramo III e al 2% per le gestioni di ramo I; nello stesso periodo, la rivalutazione del TFR è risultata pari al 2,4% annuo.
Osservando la distribuzione dei risultati dei singoli comparti tra le diverse tipologie di forma pensionistica e le diverse linee di investimento, i comparti caratterizzati da una maggiore esposizione azionaria mostrano rendimenti più elevati rispetto agli altri e al TFR. Essi mostrano anche una maggiore dispersione dei risultati rispetto alle altre tipologie di comparto per i fondi aperti e per i PIP di ramo III, ma non per i fondi negoziali.
Per quanto riguarda i contributi raccolti nel 2022 i dati sono i seguenti (in milioni di euro): Fondi pensione negoziali 6.051; Fondi pensione aperti 2.846; PIP “nuovi” 4.963. Per un totale di 13.860. A causa delle condizioni finanziarie descritte nel 2022 è stato di gran lunga prevalente, grazie all’inflazione, la rivalutazione del TFR (il calcolo è stabilito per legge). Nel 2022 la rivalutazione è stata del 8,3%; quello medio del decennio si è fermata al 2,4%.
Nella loro sinteticità i dati evidenziano l’esigenza di un approfondimento delle possibilità di un rilancio, in vista di un supporto strategico al sistema pensionistico nel suo insieme che ha bisogno di iniezioni crescenti di risorse a capitalizzazione, oltreché di una riduzione del prelievo fiscale sui rendimenti, oggi in misura del 20%. Come abbiamo potuto osservare gli incrementi delle adesioni sono legati a forme di semi-obbligatorietà e di silenzio-assenso. Sarebbe poi il caso di esaminare più attentamente i motivi di una dèbacle così rilevante nei rendimenti di mercato, che sembra aver caratterizzato in modo così netto solo le forme di previdenza complementare.
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