La Ragioneria Generale dello Stato (RGS) pubblica tutti gli anni un Rapporto (siamo ormai con l’Aggiornamento 2024 al n. 25 ) su “Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario”. Come in tutte le pubblicazioni della RGS si trovano tanti aspetti interessanti che consentono di seguire l’evoluzione dei principali settori del welfare (pensioni, sanità, assistenza, LTC). Abbiamo scelto di concentrarci in questo articolo su un aspetto che richiama un tema di attualità della questione pensioni nel quadro della manovra di bilancio: la rivalutazione delle pensioni come uno dei più importanti fattori che determina quelle che una volta si chiamavano le “pensioni di annata” ovvero il diverso trattamento che si riversa su pensionati che arrivano all’appuntamento con la quiescenza più o meno con i medesimi requisiti ma in un contesto di norme diverse la cui applicazione incide sull’importo dell’assegno. Negli anni ’80 i Governi promossero, su richiesta dei sindacati dei pensionati allora in grande spolvero, un aggiustamento a posteriori che nel complesso costò alle finanze pubbliche 25mila miliardi di lire.
Per comprendere le caratteristiche del sistema pensionistico italiano, secondo la RGS, occorre soffermarsi anche su alcuni aspetti riguardanti il suo assetto distributivo, così come configuratosi a seguito degli interventi di riforma che si sono succeduti a partire dal 1992. A questo riguardo, l’analisi è incentrata su due aspetti: 1) la distribuzione di risorse tra popolazione pensionata e popolazione attiva; 2) la distribuzione di risorse tra differenti generazioni di pensionati.
Allo scopo di valutare gli effetti distributivi in relazione al reddito medio dell’intera popolazione (inclusi i pensionati), l’indicatore da utilizzare, secondo la RGS, sarebbe più appropriatamente il rapporto fra la pensione media e il Pil pro capite. Tale indicatore presenterebbe, tuttavia, risultati qualitativamente analoghi a quelli del rapporto fra pensione media e produttività. Tale rapporto mostra un andamento irregolare tra il 2020 e il 2024, essendo influenzato dall’instabilità macroeconomica conseguente alla crisi pandemica e alle tensioni geopolitiche derivanti dal conflitto in Ucraina. Questa instabilità si riflette, rispettivamente, sul reddito medio da lavoro (il denominatore del rapporto) per il 2020 e gli anni immediatamente successivi e sull’indicizzazione delle pensioni (il numeratore del rapporto) nel 2023 e 2024, a seguito delle spinte inflazionistiche emerse tra il 2022 e il 2023.
A seguito delle ipotesi di medio e lungo periodo che ipotizzano per il costo del lavoro la convergenza verso il tasso di crescita della produttività, la pensione media tende a stabilizzarsi in termini di produttività nel decennio successivo per poi decrescere abbastanza regolarmente nella restante parte del periodo di previsione. In particolare, a partire dal 2034, il tasso di crescita dell’importo medio delle pensioni dirette risulta mediamente inferiore di 0,8 punti percentuali rispetto alla dinamica dei redditi medi da lavoro.
L’andamento dei redditi da pensione rispetto alla dinamica della produttività (o del Pil pro capite) riflette innanzitutto le proprietà redistributive del sistema contributivo, la cui formula di calcolo, rispetto a quella del sistema retributivo, determina una riduzione dell’importo di pensione soprattutto per i lavoratori con carriere più dinamiche.
Il metodo contributivo, per il solo fatto di estendere la base di calcolo della pensione all’intera vita lavorativa, produce automaticamente un miglioramento relativo delle posizioni pensionistiche dei lavoratori tipicamente più deboli, caratterizzati da carriere piatte. Al contrario, nel contesto del sistema retributivo, l’esperienza italiana degli anni passati mostra che, nell’ambito del lavoro dipendente del settore privato, le pensioni di importo più elevato sono generalmente quelle relative al pensionamento anticipato, tipicamente appannaggio di lavoratori che hanno goduto di carriere continue e dinamiche. Ne risulta che i titolari di tali pensioni beneficiano di prestazioni di ammontare mediamente doppio rispetto alle pensioni di vecchiaia, a cui si aggiunge un periodo medio di fruizione della prestazione di circa 5-6 anni superiore.
Il Rapporto n. 25 mette poi a confronto gli importi medi dello stock di pensioni dirette (al netto di pensioni e assegni sociali) in percentuale del Pil pro capite per fasce decennali di età e per decennio di previsione. Nell’anno 2010 l’importo medio di pensione, nelle fasce di età interessate dal pensionamento anticipato, risultava nettamente più alto di quello rilevato nelle fasce superiori di età. Tale vantaggio, però, si riduce gradualmente con l’introduzione del sistema contributivo, tanto è vero che nei decenni finali del periodo di previsione, gli importi medi per età presentano una distribuzione assai più uniforme.
Infine, con riferimento all’analisi degli effetti distributivi tra differenti generazioni di pensioni dirette vale la pena ricordare quali siano e come operino i fattori normativi che incidono sulla distribuzione intergenerazionale delle risorse destinate al sistema pensionistico durante il periodo di previsione.
In primo luogo, il meccanismo di indicizzazione delle pensioni comporta, a parità di regole di calcolo, una riduzione progressiva dell’importo espresso in termini reali delle pensioni di “vecchia” decorrenza rispetto a quelle di “nuova” decorrenza. Ciò consegue al fatto che queste ultime evolvono in base alla dinamica delle retribuzioni, mentre le prime recuperano soltanto la perdita del potere di acquisto. È possibile dimostrare che il risultato è indipendente dal metodo di calcolo, purché questo resti immutato nel tempo.
È necessario, tuttavia, rilevare che, nel metodo di calcolo contributivo, l’indicizzazione reale (nella misura dell’1,5% l’anno) viene incorporata nel calcolo del coefficiente di trasformazione e, quindi, scontata nel livello della rata iniziale di pensione. Si tenga anche presente, d’altra parte, che la normativa relativa alla perequazione delle prestazioni prevede un pieno adeguamento al tasso di variazione dell’inflazione solo per fasce o scaglioni di importo, salvaguardando gli importi più bassi.
In secondo luogo, l’introduzione graduale del sistema di calcolo contributivo produce effetti che vanno in direzione diametralmente opposta in quanto tendono ad avvantaggiare, in termini relativi, le pensioni di “vecchia” decorrenza rispetto a quelle di “nuova” decorrenza. Tali effetti sono imputabili alla gradualità del regime transitorio e alla revisione periodica dei coefficienti di trasformazione.
In terzo luogo, il meccanismo di adeguamento automatico dei requisiti minimi di età per la maturazione del diritto alla pensione alle variazioni della speranza di vita (D.L. 78/2010, convertito dalla L. 122/2010, e D.L. 201/2011, convertito dalla L. 214/2011) contrasta gli effetti di riduzione degli importi pensionistici che si sarebbero determinati, a parità di età di pensionamento, in conseguenza della revisione dei coefficienti trasformazione. Si ricorda che tale meccanismo opera sia in relazione ai requisiti minimi previsti per il pensionamento di vecchiaia ordinario, sia per il requisito contributivo relativo al pensionamento anticipato di tre anni rispetto all’età di vecchiaia (per i soli lavoratori entrati in assicurazione a decorrere dal 1996) e per il requisito contributivo di accesso al pensionamento anticipato indipendentemente dall’età. In tali termini, la disattivazione per il periodo 2019-2026 degli adeguamenti dell’anzianità contributiva a variazioni dell’aspettativa di vita per l’accesso al pensionamento anticipato indipendentemente dall’età anagrafica, prevista dal D.L. 4/2019 convertito dalla L. 26/2019, e che è stata successivamente limitata sino alla fine del 2024 dalla L. 213/2023, ha come effetto anche quello di rendere meno efficace il fenomeno sopra descritto.
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