Si è rifatto vivo con la puntualità di un cronografo svizzero il Coordinamento statistico attuariale dell’Inps con le statistiche relative alle pensioni vigenti al 1° gennaio dell’anno in corso. Preso atto dell’esclusione delle pensioni della Gestione dipendenti pubblici (disponibili in un apposito osservatorio statistico) dall’analisi per categoria di pensione, si osserva che le prestazioni di tipo previdenziale sono costituite per il 68,7% da pensioni della categoria vecchiaia di cui poco più della metà (57,2%) erogate a soggetti di sesso maschile, per il 5,2% da pensioni della categoria invalidità previdenziale di cui il 56,0% erogato a maschi e per il 26,1% da pensioni della categoria Superstiti che presentano un tasso di mascolinità (sic!) pari al 12,4%.
Analizzando le sottocategorie si osserva che circa il 74,3% delle pensioni di anzianità/anticipate è erogata a soggetti di sesso maschile, mentre tale percentuale si abbassa al 37,6% per le pensioni della sottocategoria vecchiaia. Va da sé che i dati relativi alle lavoratrici si leggono per differenza.
Analizzando la distribuzione per classi di importo mensile delle pensioni si osserva una forte concentrazione nelle classi basse. Infatti, il 55,8% delle pensioni ha un importo inferiore a 750 euro. Questa percentuale, che per le donne raggiunge il 67,6%, costituisce solo una misura indicativa della “povertà”, per il fatto che molti pensionati sono titolari di più prestazioni pensionistiche o comunque di altri redditi.
A tal fine, l’Inps mette in evidenza che delle 9.883.267 pensioni con importo inferiore a 750 euro, solo il 43,1% (4.272.173) beneficia di prestazioni legate a requisiti reddituali bassi, quali integrazione al minimo, maggiorazioni sociali, pensioni e assegni sociali e pensioni di invalidità civile. In tale contesto il divario tra i due sessi è accentuato; infatti, per gli uomini la percentuale di prestazioni con importo inferiore a 750 euro scende al 40,9% e se si analizza la situazione della categoria vecchiaia si osserva che questa percentuale scende al 18,4% e di queste solo il 19,8% è costituito da pensioni in possesso dei requisiti a sostegno del reddito. Sempre per i maschi, si osserva che il 44,8% delle pensioni di vecchiaia è di importo compreso fra 1.500 e 3.000 euro.
Come si spiega la “misoginia” del sistema pensionistico? E in quest’ambito per quale motivo le donne si avvalgono, in maggioranza, della pensione di vecchiaia, mentre gli uomini riescono – in larga misura – a raggiungere la quiescenza in modo anticipato? Lo abbiamo spiegato tante volte, ma è il caso di tornare nuovamente sull’argomento. La pensione – in generale – non è che il riflesso dell’attività lavorativa. Pertanto la condizione della donna da pensionata è la conseguenza della sua posizione nel mercato del lavoro.
La tabella di seguito (compilata da Antonietta Mundo del Centro nazionale degli attuari in vista di un convegno che si svolgerà tra pochi giorni su questi temi) è in grado di spiegare lo squilibrio di genere meglio di una lunga e approfondita conferenza.
Il requisito richiesto, oltre all’età pensionabile, per maturare la pensione è dato dall’anzianità contributiva. Anzi, è questo requisito che consente di determinare in prevalenza l’importo del trattamento. Come si può notare, più della metà delle lavoratrici (il 56,5%) si è presentata, negli anni considerati, all’appuntamento con il destino da pensionata con un’anzianità fino a 25 anni; ciò significa che era in possesso soltanto del requisito contributivo minimo di 20 anni il quale consente di andare in quiescenza al compimento dell’età di vecchiaia (ora 67 anni). Va da sé che, sia con il calcolo retributivo che con quello contributivo, un requisito tanto modesto ha inciso anche sull’importo della pensione.
Diverso è stato il caso degli uomini: il 70,6% di loro aveva un’anzianità di 35 anni e più. Le ripartizioni interne (soprattutto il 53,3% in un arco temporale tra 35 e 40 anni) danno conto della possibilità (come accade in pratica da decenni) dei lavoratori di accedere a qualche forma di anticipo (a un’età anagrafica inferiore a quella di vecchiaia) e soprattutto di far valere una base contributiva tale da assicurare un trattamento più elevato.
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