Nunc est bibendum. Per festeggiare, naturalmente. L’Inps è stato in grado di pubblicare anche i dati delle pensioni dei dipendenti pubblici. Chi ha avuto la pazienza di seguire questa rubrica si sarà accorto che, nel commentare le periodiche rilevazioni dei trattamenti pensionistici, era giocoforza limitarsi ai settori privati, a prova – absit iniura verbis – delle persistenti difficoltà a integrare, anche a livello statistico, tutto l’universo previdenziale (con esclusione dell’assicurazione degli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) in un unico ente. Ma i rilievi critici fanno solo perdere del tempo, quando ormai è divenuto possibile commentare la realtà. 



Il numero delle pensioni della Gestione Dipendenti Pubblici (GDP), vigenti al 1° gennaio 2022, è pari a 3.082.954, in aumento rispetto all’anno precedente dell’1,8%; l’importo complessivo annuo delle pensioni (importo complessivo mensile moltiplicato 13) ovvero la spesa è di 79.203 milioni di euro, con incremento percentuale del 3,2% rispetto all’anno 2021, in cui l’importo risultava di 76.750 milioni di euro. Quanto alla ripartizione per le diverse Casse pensioni si evidenzia che il 58,5% dei trattamenti è erogato dalla CTPS (statali), seguita dalla CPDEL (enti regionali e locali e Asl) con il 38%; le altre Casse (CPI, CPS, CPUG) rappresentano complessivamente il 3,5% del totale. 



Con riferimento alla spesa complessiva il 60,9% è a carico della CTPS, che eroga importi medi mensili pari a 2.057,05 euro; il 31,9% a carico della CPDEL con importi medi mensili di 1.655,40 e il rimanente 7,3% è erogato dalle altre Casse, con importi che variano da 1.485,64 euro mensili per la CPI a 4.728,47 euro mensili per la CPS (i medici del SSN). La CPS – a prova che poi non è tanto male la professione del medico – a fronte di un numero di iscritti del 3,5% del totale, eroga un importo annuo dell’8,5 % della spesa complessiva. Quanto alla pensione media si è già detto. 



Osservando le pensioni vigenti all’1.1.2022 distinte per categoria e sesso, emerge che il 58,5% delle pensioni è di anzianità o anticipata, con importo complessivo annuo (la spesa) pari a 51,5 miliardi di euro; il 14,3% è pensioni di vecchiaia con importo complessivo annuo di 13 miliardi; le pensioni di inabilità sono il 6,7% e il restante 20,5% è costituito, complessivamente, dalle pensioni erogate ai superstiti di attivi e di pensionati. More solito, diranno i lettori. Magari nel pubblico impiego la quota di pensioni anticipate è maggiore di quella dei settori privati, ma che l’Italia sia il Paese dell’anticipo è cosa arcinota (tranne che alle organizzazioni sindacali e a Matteo Salvini). 

Però, rispetto a quanto avviene nei settori privati, nel caso dei pubblici dipendenti c’è una novità non da poco. Nella ripartizione delle pensioni per categoria e sesso si osserva che il 59,5% del totale dei trattamenti pensionistici è erogato alle lavoratrici contro il 40,5% erogato ai lavoratori. In tutte le categorie di pensione, eccetto la categoria delle pensioni di inabilità, si rileva una maggior presenza di pensionate sui pensionati, con differenziazione massima nelle pensioni ai superstiti in cui le femmine rappresentano il 17,1% del totale delle pensioni e i maschi il 3,4%. Ciò vuol dire che – a differenza della prevalente “mascolinità” dei trattamenti anticipati nei settori privati dipendenti e autonomi – nel pubblico impiego è maggiore il numero di donne che si avvalgono di questa scorciatoia rispetto a quello degli uomini. 

Tanto per fornire dei numeri, su 1,8 milioni di pensioni di anzianità/anticipate 826.380 sono erogate a uomini e 977.685 a donne. I dati di stock trovano conferma anche in quelli di flusso: nel 2021 su 94.250 pensioni di anzianità/anticipate 39.717 sono andate agli uomini contro 54.533 alle donne. 

La distribuzione per area geografica del numero delle pensioni vigenti all’1.1.2022 mette in evidenza una maggiore concentrazione nell’area settentrionale con il 40,8% del totale nazionale, seguito dal 36,5% delle prestazioni erogate nell’area meridionale, isole comprese. Infine, l’Italia centrale si accontenta del 22,4%. Se confrontiamo questi dati con quelli della ripartizione territoriale dei settori privati possiamo cogliere le differenze: l’area geografica che registra la percentuale più alta di prestazioni pensionistiche all’1.1.2022 è l’Italia settentrionale con il 47,85%, al Centro viene erogato il 19,31% delle pensioni, mentre in Italia meridionale e nelle isole il 30,77%; il restante 2,06% (366.226 pensioni) viene erogato a soggetti residenti all’estero. 

Tornando alle pensioni dei pubblici dipendenti, dall’analisi del numero dei trattamenti vigenti all’1.1.2022 per sesso e regione si evidenzia che le regioni con il maggior numero di pensioni pubbliche sono la Lombardia e il Lazio rispettivamente con l’11,8% e l’11,3% del totale, seguite dalla Campania (9,3%) e dalla Sicilia (8,4%). Le regioni con il numero minore sono la Valle d’Aosta (0,3%), il Molise (0,7%) e la Basilicata (1,1%). Le regioni con il più alto rapporto di femminilità sono la Lombardia (2) e il Piemonte (1,89), mentre la Puglia (1,18) e la Campania (1,22) presentano quello più basso. 

Per quanto concerne la distribuzione delle pensioni per categoria e classi di importo mensile mette in evidenza che il 15,1% delle pensioni pubbliche ha un importo mensile inferiore ai 1.000 euro, il 45,3% tra 1.000 e 1.999,99 euro e il 29,6% di importo tra 2.000 e 2.999,99; infine, il 10% ha un importo dai 3.000 euro mensili lordi in su. La classe modale del totale dei trattamenti è quella compresa tra 1.500 e 1.749,99 euro, con il 13,3% . 

Sempre tenendo d’occhio i settori privati, la distribuzione per classi di importo mensile delle pensioni vigenti all’1 gennaio 2022 mette in evidenza una forte concentrazione nelle classi basse. Infatti, il 58,4% delle pensioni ha un importo mensile inferiore a 750,00 euro. Questa percentuale, che per le donne raggiunge il 71,1%, costituisce solo una misura indicativa della “povertà”, per il fatto che molti pensionati sono titolari di più prestazioni pensionistiche o comunque di altri redditi. Infatti, delle 10.363.076 pensioni con importo inferiore a 750 euro solo il 42,5% (4.407.965) beneficia di prestazioni legate a requisiti reddituali bassi, quali integrazione al minimo, maggiorazioni sociali, pensioni e assegni sociali e pensioni di invalidità civile. In tale contesto il divario tra i due sessi è accentuato; infatti, per gli uomini la percentuale di prestazioni con importo inferiore a 750 euro scende al 42,4% e se si analizza la situazione della categoria vecchiaia, si osserva che questa percentuale scende al 20,4% e di queste solo il 19,2% è costituito da pensioni che si avvalgono dei requisiti a sostegno del reddito. Sempre per i maschi, si osserva che il 40% delle pensioni di vecchiaia è di importo compreso fra 1.500 e 3.000 euro.

Appendice

Il sistema pensionistico dei Dipendenti Pubblici prevede quindi le seguenti cinque Casse pensionistiche: 

1. Cassa Pensioni Dipendenti degli Enti Locali (CPDEL) a cui è iscritto il personale di ruolo, non di ruolo e a part-time delle Regioni, delle Province, dei Comuni, delle 14 Aziende Ospedaliere (non medici) e di alcuni Enti parastatali ed Istituzioni pubbliche. 

2. Cassa Pensioni Sanitari (CPS) a cui è iscritto il personale medico delle aziende sanitarie locali, degli enti ospedalieri ed enti equiparati nonché ai medici comunali e provinciali, nei casi in cui tali figure non siano state abolite dalla normativa sul servizio sanitario nazionale.

 3. Cassa Pensioni Insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (CPI) a cui è iscritto il personale di ruolo, non di ruolo ed a part-time docente delle scuole elementari e degli asili nido non statali, dipendenti dai comuni o parificate, e gli educatori femminili e delle scuole elementari per ciechi e sordomuti. 

4. Cassa Pensioni Ufficiali Giudiziari, aiutanti ufficiali giudiziari ed coadiutori (CPUG) a cui è iscritto il personale di ruolo, non di ruolo ed a part-time del Ministero di Grazia e Giustizia con la qualifica di Ufficiale Giudiziario, Aiutante Ufficiale Giudiziario e Coadiutore.

 5. Cassa Trattamenti pensionistici ai dipendenti dello Stato (CTPS) a cui è iscritto il personale di ruolo e a part-time: dei Ministeri; insegnante e non insegnante della scuola; insegnante e non insegnante dell’università; delle aziende autonome (ANAS, Monopoli di Stato, A.I.M.A., Cassa depositi e prestiti, Vigili del fuoco); dei corpi di polizia (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria, Corpo forestale e relativi Cappellani); delle forze armate (Esercito, Marina, Aeronautica, Capitanerie di Porto e relativi Cappellani); i magistrati ed equiparati (Magistratura ordinaria, Corte dei Conti, Consiglio di Stato, Magistratura militare, Avvocatura di Stato); della carriera diplomatica; della carriera prefettizia. È stata istituita con legge 8 agosto 1995 n. 335. Fino a quella data lo Stato introitava il contributo versato dal lavoratore e, al momento del collocamento a riposo dello stesso, erogava la pensione con prelievo diretto da un apposito capitolo del bilancio statale.

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