In ottobre, secondo le stime preliminari dell’Istat, l’indice dei prezzi al consumo è rimasto completamente fermo sullo stesso livello del mese precedente. L’inflazione nulla su base congiunturale non ha tuttavia impedito al tasso tendenziale di risalire allo 0,9% dal precedente 0,7%, grazie al confronto col mese di ottobre 2023 nel quale invece i prezzi si erano ridotti dello 0,2%. È il mancato ripetersi di quella piccola riduzione congiunturale che ha portato al piccolo rialzo del tendenziale nel mese appena concluso. Ma siamo sempre a meno della metà del tasso obiettivo della Bce, fissato nel 2%, e con un livello dei prezzi ormai stabile da un paio d’anni.
L’inflazione nulla deriva in ogni caso da capitoli di spesa con prezzi in diminuzione che hanno tuttavia compensato i capitoli di spesa con prezzi in rialzo mentre altri sono rimasti stabili. Fanno parte del primo gruppo i beni energetici, che hanno visto nel mese una riduzione dello 0,4%, e i servizi che hanno visto una riduzione identica. Il tendenziale degli energetici si è in conseguenza ridotto dal -8,7% al -9,1%, mentre il tendenziale dei servizi dal 2,8% al 2,6%. Poiché i servizi pesano per il 43% nel paniere dei consumi e gli energetici per il 10%, questo significa che più di metà del paniere ha registrato prezzi complessivamente in riduzione.
Sul fronte dei capitoli con prezzi stabili abbiamo invece l’insieme dei beni diversi dagli energetici e dagli alimentari, i quali pesano per il 24% del paniere dei consumi. Rispetto a un tasso congiunturale nullo l’incremento rispetto a dodici mesi prima è risultato solo dello 0,2%. Restano a questo punto solo i beni alimentari, gli unici ad avere registrato una crescita di rilievo: +1,2% nel mese, dovuta a un +0,6% per gli alimentari lavorati e a un +2,7% per i non lavorati. Questa crescita congiunturale, raffrontata alla lieve diminuzione dello stesso mese dello scorso anno, ha portato il tendenziale al +2,4% dal precedente +1,1%.
In ottobre l’inflazione di fondo, che esclude gli energetici e gli alimentari freschi, è rimasta stabile all’1,8%, mentre quella relativa ai prodotti ad alta frequenza d’acquisto è salita, a causa del comparto alimentare, dallo 0,5% all’1,0%. L’inflazione acquisita per il 2024, il valore medio annuo che si avrebbe con prezzi stabili da qui alla fine dell’anno, è pari all 1,0% per l’indice generale e al 2,0% per la componente di fondo.
La stabilità dei prezzi e la sostanziale assenza del fenomeno inflattivo che interessa l’Italia non si estende tuttavia in maniera equivalente all’insieme dei Paesi che compongono l’area dell’euro. La stima per l’intera area è infatti di una crescita congiunturale dello 0,3% che, confrontata con prezzi invece stabili nello stesso mese dello scorso anno, farebbe risalire il tendenziale al 2% dal precedente 1,7%. Anche in questo caso il comparto più dinamico è quello degli alimentari lavorati, con una crescita congiunturale del 2,1%, seguiti dagli altri beni industriali con lo 0,7% (da noi invece com prezzi stabili), e dagli energetici con lo 0,4% (da noi in riduzione). Completamente fermi i prezzi dei servizi (da noi in riduzione), che tuttavia mantengono un tendenziale ancora al +3,9%. L’inflazione di fondo è al 2,7%.
Tra i Paesi dell’Unione grandi e medi si collocano assieme all’Italia sotto il 2% desiderato dalla Bce la Francia con l’1,5% e l’Austria e la Spagna, entrambe con l’1,8%. Sopra il 2% troviamo la Germania col 2,4%, in crescita rispetto al precedente 1,8%, il Portogallo col 2,6%, l’Olanda col 3,3% e il Belgio con un elevato 4,7%. Quasi cinque punti percentuali separano pertanto questo valore, che è il massimo nell’euro area, dal valore minimo, che è il tendenziale nullo della Slovenia.
Come si può pensare di utilizzare la politica monetaria della Bce, necessariamente uniforme, per controllare l’inflazione in presenza di tassi d’inflazione così differenziati?
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