In maniera analoga a Catone il censore, i banchieri centrali hanno una peculiare “delenda Carthago” che è l’abbattimento dell’inflazione. Considerando che il loro compito è di difendere il valore della moneta che gli è affidata, e dunque la sua convertibilità nei diversi beni scambiati sui mercati, l’obiettivo della protezione dei sistemi economici da tassi non fisiologici di crescita dei prezzi ha un evidente ed elevato grado di ragionevolezza.



Essi nel perseguirlo seguono inoltre una particolare stella polare che è un tasso di crescita tendenziale dei prezzi al consumo non superiore al 2%. Anche questo numeretto, pur arbitrario, ha un suo grado di ragionevolezza in quanto non impone una totale assenza d’inflazione e lascia un certo margine per un fisiologico incremento dei prezzi di quei servizi per i quali non sono possibili incrementi di produttività nel tempo, senza nello stesso tempo richiedere ad altri beni di ridurre il loro prezzo sino ad assorbire completamente l’incremento dei precedenti.



Definire tuttavia la politica monetaria in base al tasso tendenziale d’inflazione, che misura di quanto sono aumentati in percentuale i prezzi negli ultimi dodici mesi, è una prassi che andrebbe valutata con attenzione, come già messo in evidenza in passate occasioni. Quando lo si faceva negli anni ’70 e primi anni ’80, con fenomeni inflattivi di lungo periodo, i dodici mesi coinvolti nella misura del tendenziale erano un piccolo segmento temporale rispetto alla durata totale del fenomeno. Poi l’inflazione è per fortuna scomparsa e l’euro ha garantito un lungo periodo di stabilità dei prezzi mentre le successive recessioni (internazionale del 2008-9, autoprodotta per politiche fiscali autolesioniste nel 2011-13, e infine da Covid nel 2020-21) hanno reso più probabili fenomeni deflattivi rispetto al loro opposto.



Infine, l’inflazione è tornata, con la crisi del gas scatenata dall’imperialismo russo, ma si tratta di un fenomeno differente, per portata e per durata. Negli anni ’70 il boom dei prezzi petroliferi ebbe effetti di lungo periodo e i prezzi del petrolio continuarono a crescere e rimasero elevati per una dozzina d’anni, sino al controshock della metà degli anni ’80. Nell’ultimo evento i prezzi del gas si sono sgonfiati in poco più di un anno e, grazie anche alla sostituzione tra Paesi di approvvigionamento, sono ritornati piuttosto rapidamente al livello da cui erano partiti o anche meno. Come illustrato nel Grafico 1, le quotazioni al mercato Ttf di Amsterdam sono ora sui medesimi livelli della prima parte del 2021, prima della loro ascesa nella seconda metà di quell’anno. La fase critica, con prezzi molto elevati, è durata circa un anno e mezzo, includendo la seconda metà del 2021 e il 2022, tuttavia con i prezzi già in rapida discesa nella parte finale di quell’anno.

Grafico 1 – Quotazioni del gas naturale al mercato Ttf di Amsterdam

Fonte: Teleborsa.

Utilizzare il tasso tendenziale per misurare il fenomeno inflattivo quando esso è scatenato da un evento di durata poco superiore all’anno è in conseguenza molto diverso rispetto all’aver fatto la stessa cosa quando l’evento scatenante, il caro petrolio, era durato almeno una dozzina d’anni. Affinché la misura del tasso tendenziale si scordi dell’aumento avvenuto in un dato mese occorre infatti che ne siano trascorsi ben dodici ulteriori, solo così quel dato esce dal radar del tendenziale. E se nel frattempo le scelte di politica monetaria sono adottate senza tener conto di cosa può essere avvenuto di segno differente nei mesi inclusi nella misura del tendenziale ma più vicini al decisore esse potrebbero essere indotte in errore. Sarebbe come guidare guardando permanentemente il retrovisore anziché la strada davanti a sé.

Il tasso tendenziale funziona in effetti come una sorta di recipiente d’acqua, o di lago alpino o di diga, il quale riceve acqua da un immissario e a sua volte la cede a un emissario. Ogni mese un pezzettino nuovo, l’aumento dei prezzi nell’ultimo mese, entra nel recipiente del tendenziale e ogni mese un pezzettino vecchio ne esce (l’aumento dei prezzi avvenuto 13 mesi prima). Se l’ultimo dato in entrata è più grande di quello in uscita allora il livello nel recipiente sale, se invece è più piccolo di quello in uscita allora il livello nel recipiente scende.

A questo punto dobbiamo chiederci dove dovrebbe guardare il guardiano incaricato di monitorare il livello dell’acqua e di assicurare che non vi sia straripamento. La Banca centrale europea guarda solo al tendenziale, dunque al livello dell’acqua nel recipiente e, poiché esso si modifica con lentezza e sta ancora al di sopra del livello ritenuto congruo, continua ad adottare misure tali da abbassare il flusso in entrata e con esso anche il livello nel recipiente.

Poiché queste misure, di politica monetaria restrittiva, hanno effetti collaterali negativi, generando effetti economici recessivi, dovrebbero tuttavia essere adottate con grande cautela. Al fine di non rischiare di eccedere nella restrizione, e di produrre perdite dannose di prodotto per ottenere riduzioni non ulteriormente utili di inflazione, conviene guardare direttamente al flusso d’acqua in entrata poiché esso fornisce la miglior informazione disponibile. Se il flusso in entrata, dunque la crescita mensile dei prezzi, continua ad affievolirsi allora si ha la prova che il rischio di straripamento del recipiente si sta allontanando e che le misure adottate per constrastarlo possono essere attenuate.

Proviamo a svolgere questo esercizio in base ai numeri dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera Eurozona, che è quello osservato dalla Bce. In un contributo di ottobre 2023 abbiamo sostenuto, basandoci sui dati dell’indice italiano NIC dei prezzi al consumo per l’intera collettività che l’onda dell’inflazione al consumo avesse raggiunto la sua massima espansione nell’ottobre del 2022 e che dal novembre seguente la velocità di crescita dei prezzi al consumo si fosse drasticamente ridotta. Verifichiamo ora se altrettanto può dirsi per l’insieme dei Paesi che adottano l’euro. In questo caso dobbiamo utilizzare l’indice armonizzato europeo HICP che non può tuttavia essere utilizzato nei tassi mensili di variazione in quanto presenta per costruzione taluni problemi di stagionalità e abitualmente in alcuni mesi, quelli dei saldi invernali e poi dei saldi estivi, tende ad avere variazioni negative.

Prendiamo allora una media su molti mesi della variazione percentuale mensile: nei quindici mesi trascorsi da novembre 2022 a gennaio 2024 la variazione congiunturale media è stata dello 0,14%, un valore corrispondente a un tasso annualizzato dell’1,7%, nettamente inferiore al tasso obiettivo della banca centrale del 2%. Quella precedente è una misura annualizzata dell’acqua che è entrata nel recipiente del tendenziale negli ultimi 15 mesi. Se restringiamo l’orizzonte temporale di osservazione a soli 12 mesi, invece, il dato cresce e si attesta al 2,8%, che è il tendenziale dell’Eurozona del mese di gennaio. Infatti nel passaggio da 15 a 12 mesi ignoriamo i tre mesi finali del 2022, molto favorevoli in quanto l’indice dei prezzi era stato in calo, e diamo più peso al periodo febbraio-aprile in cui gli incrementi mensili erano stati maggiori della media.

Però nessuno ci vincola a misurare l’aumento dei prezzi sempre su 12 mesi, possiamo estendere o restringere tale intervallo temporale per vedere cosa cambia. La Bce lo fa sempre su 12 mesi e in questo modo vede che il tendenziale è al 2,8%, maggiore del 2% obiettivo, e dunque i tassi li tiene belli alti. Però se l’intervallo di osservazione lo estendiamo a 15 mesi il tasso annualizzato scende all’1,7% e infine se lo restringiamo a 9 mesi esso crolla addirittura allo 0,5% annuo…

Rimettiamo ora in ordine il nostro ragionamento: il nostro recipiente del tendenziale contiene un incremento dei prezzi del 2,8%, non sappiamo quale sarà l’aumento dei prezzi al consumo che vi affluirà nei prossimi mesi, ma sappiamo benissimo quanta parte di quel 2,8 defluirà via: tra febbraio e aprile sono ben 2,4 dei 2,8 punti, poi restano solo quattro decimi. Questa distribuzione del deflusso dal recipiente ci fornisce due informazioni importantissime:

– da maggio in avanti vi sono pochissimi spazi per ulteriori riduzioni del tendenziale d’inflazione;

– tra febbraio e aprile ve ne sono invece molti…

Ad esempio, se nei prossimi tre mesi i prezzi salissero complessivamente dell’1% il tendenziale in aprile si ridurrebbe all’1,4%, dimezzandosi rispetto al livello attuale. Se invece salissero dell’1,5%, mezzo punto al mese, il tendenziale si ridurrebbe all’1,9%, scendendo al di sotto del mitico 2%. È’ tuttavia molto probabile che il 2% sia raggiunto già in marzo, seguendo il primo dei due percorsi.

Possiamo allora confidare che la Bce si accorga di aver raggiunto l’obiettivo e inizi a ridurre i tassi?

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