Europa uno, inflazione zero. Italia zero, inflazione uno. L’inflazione, in veste di sola e comune avversaria da battere, in queste ultime ore, ha perso il proprio scontro diretto con gran parte dei Paesi del Vecchio continente. Nonostante la disfatta, però, ha comunque saputo riscattarsi: ai danni dell’Italia. Perché di questo si tratta. Una sconfitta, quella della penisola italica, che in ambito di “caro vita” ha potuto vedere nei recenti dati diffusi da Istat l’attestazione di un’amara debacle.
Certamente il (lieve) ridimensionamento in capo ai confini italiani è pur sempre degno di nota, ma, se contestualizzato a un più ampio raffronto con i Paesi a noi vicini, le variazioni registrate sono decisamente decorrelate e oggettivamente secondarie in termini assoluti: anche Eurostat, ieri, ne ha sentenziato l’evidenza.
A un complessivo miglioramento dell’area euro (inflazione a quota 9,2%) i valori riportati nella consueta “stima flash” sottolineano come l’Italia sia molto, molto lontana rispetto a chi ci circonda. Che nessuno ce ne voglia, ma, questo abissale (perché tale è) divario non vede neppure un minimo approssimarsi alle realtà inflazionistiche delle altre economie. Con ovvio rispetto per le nazioni che gravitano oltre i venti punti percentuali, così come per coloro che vedono valori ben superiori rispetto ai nostri, e soffermando invece l’osservazione ai più “classici competitors” europei (Francia, Germania, Spagna, Portogallo) il parallelismo non regge minimamente. Ma, in questa lista manca la Grecia. Purtroppo (per noi) no, infatti, è obbligo menzionarla per dovere di cronaca, ma, pur avendone fatto a meno, leggere del suo score fa molto male (7,6% a dicembre). Come un altro male, malissimo, è riportare alla mente il ricordo di quell’impennata registrata dall’Italia lo scorso ottobre: +3,4% la variazione in solo mese.
Potremmo essere mal interpretati e, verosimilmente, equiparati a ingrati e poco rispettosi osservatori, ma, nei fatti, attraverso queste pagine abbiamo molto spesso sollevato questo probabile problema: ancor più se tale nostra tesi veniva affrontata in cosiddetti tempi non sospetti. Era il luglio del 2021. Ma non solo in quell’occasione, anzi, abbiamo poi “rincarato la dose” due mesi dopo ovvero a settembre: «Dietro il balzo del Pil avanza l’ombra minacciosa dell’inflazione». Non soddisfatti (potreste pensare), anche nel successivo anno, a marzo, prendevamo atto dell’effettiva sconfitta e, inoltre, a distanza di qualche mese, a giugno, addirittura ponevamo un dubbio in capo allo stesso Istat in merito alla stima di una inflazione al 5,8% per il 2022. A dirla tutta, lo scorso giugno, su Istat avevamo “dubitato” una seconda volta a distanza ravvicinata, infatti, nella settimana successiva il dubbio trovava collocazione con “I numeri che fanno prevedere un nuovo rialzo”.
Oggi, a distanza di moltissime settimane, numerosi mesi, e svariate rilevazioni, la realtà è davanti agli occhi di tutti e non si può cambiare. Noi stessi vorremo che fosse migliore e, per chi ha buona memoria, ancora su queste pagine abbiamo riportato all’attenzione una sorta di ben auspicio per il nuovo anno: era agosto quando a commento di un potenziale scenario ipotizzato si concludeva come «Una prima verifica, pertanto, potremmo averla già nell’ultimo trimestre dell’anno in corso e, qualora l’ammontare dell’entità ipotizzata fosse rispettata, con buone probabilità, è plausibile auspicare una successiva decelerazione con conseguente ridimensionamento dell’inflazione italiana all’inizio della primavera 2023». Oggi, nonostante la partita sia ancora in gioco, le sorti del risultato sono a noi tutti sfavorevoli.
Concludiamo con un’obbligata e sentita precisazione sgombrando subito un elemento fondamentale: qui, in questa sede, non c’è alcun intento né di vanto, né di ergersi in veste di vincitori (o veggenti) nei confronti di alcuno. Qui la partita la perdono tutti. La perde l’Italia. La perdono gli italiani.
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