Il fronte dell’inflazione resta caldo, un grosso problema per il governo a fine mandato e soprattutto per quello che verrà dopo il voto. L’Istat ha infatti comunicato le stime preliminari sull’andamento dei prezzi al consumo nel mese di agosto, segnalando per l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC) un aumento su base mensile dello 0,8%, che è il doppio dello 0,4% dell’agosto dello scorso anno e porta di conseguenza all’8,4% l’incremento tendenziale, calcolato sugli ultimi dodici mesi, dal 7,9% del mese precedente. Dunque un’accelerazione di ben mezzo punto in un solo mese.
Le cause dell’accelerazione dell’inflazione sono esattamente le stesse dei mesi scorsi. Il copione è identico e lo sceneggiatore, l’autocrate belligerante Putin assistito da una cattiva regolazione europea del mercato del gas e in subordine anche di quello elettrico, continua a generare le sue trame da incubo che si riverberano sui nostri paesi. In grande sintesi la trama del fenomeno inflattivo è la seguente:
1) Continua a crescere a tassi elevati qualche componente dei beni energetici. Nel mese concluso quelli a prezzo libero, non regolamentato, sono cresciuti del 3%, portando il tendenziale dal 39,8% di luglio al 41,6% di agosto. Quelli regolamentati sono invece rimasti fermi al 47,9%, ma solo perché vengono rivisti solo nel primo mese di ogni trimestre, e dunque il botto lo vedremo con grande probabilità in ottobre. Mettendo assieme i due comparti si ha una crescita tendenziale del complesso degli energetici che passa dal 42,9% di luglio al 44,9% di agosto.
2) Questi aumenti strepitosi degli energetici continuano a loro volta a trainare l’inflazione degli altri comparti, in particolare quelli che più usano l’energia nei processi produttivi. Gli alimentari lavorati vedono il tendenziale crescere dal 9,5% al 10,5%, mentre quello dei servizi relativi ai trasporti, altro settore condizionato dall’energia oltre che dall’elevata domanda stagionale, resta alto, ma si riduce dall’8,9% all’8,4%. Oltre agli alimentari accelerano anche i beni per la cura della casa e della persona (dal 9,1% al 9,7%) e i beni durevoli nel loro complesso (dal 3,3% al 3,9%), ammesso che gli italiani abbiano ancora il potere d’acquisto per comprarli e non gli tocchi invece rimandare a tempi più favorevoli.
Vi sono anche notizie favorevoli ai consumatori? In realtà poche: solo il rallentamento dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto, il cui tendenziale passa dall’8,7% al 7,8%, e la stabilità dei servizi (dal 3,6% al 3,7%). Invece l’inflazione di fondo, calcolata al netto delle componenti maggiormente variabili degli energetici e degli alimentari freschi, accelera dal 4,1% al 4,4% e quella al netto dei soli beni energetici da 4,7% al 4,9%.
Purtroppo l’inflazione acquisita per il 2022, quella che si avrebbe se i prezzi restassero completamente fermi da settembre a dicembre, è già pari al 7% per l’indice generale NIC e al 3,5% per la sola componente di fondo.
Un’inflazione così alta, all’8,4% su base annua, non si vedeva da dicembre 1985, quando fu pari all’8,8%, e il cosiddetto “carrello della spesa”, che è ora al 9,7%, non era così alto da giugno 1984, un’epoca di inflazione italiana elevata in cui tuttavia crescevano anche i salari e dunque il potere d’acquisto dei cittadini veniva difeso, parzialmente se non totalmente.
Questa cosa non avviene più, ma è un bene, quello di evitare la storica spirale prezzi-salari, solo se i governi e la Commissione Ue riescono ad arrestare il fenomeno inflattivo in un tempo ristretto. In caso contrario, la caduta del potere d’acquisto delle famiglie porterà a una recessione che potrà anche essere severa.
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