A leggerla per il verso giusto la tabella che abbiamo estratto dal Rendiconto sociale del Comitato di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Inps (e che riportiamo più in basso) racconta, dall’angolo di visuale delle pensioni, una parte rilevante della storia del lavoro del nostro Paese.

I dati si riferiscono al 2022, ma i trend sono talmente consolidati da non ammettere variazioni di rilievo. Partiamo dal fondo pensione dei lavoratori dipendenti (privati) che è l’architrave del sistema pensionistico obbligatorio. Considerando tutte le tipologie Ivs, il numero di trattamenti erogate a donne supera di oltre un milione quello relativo agli uomini (4,6 milioni contro 3,4 milioni) per un totale di 8 milioni. La tipologia che vanta il maggior numero di assegni (poco meno di 3 milioni) è quella del pensionamento anticipato, in cui però le prestazioni erogate agli uomini sono pari a circa tre volte quelle riservate alle donne, mentre il contrario avviene per quelle di vecchiaia dove i trattamenti riservate alle donne superano di un milione quelle degli uomini.



I motivi di questa apparente contraddizione sono stati spiegati più volte, ma è sempre opportuno ripeterli. Bisogna coniugare le normative riguardanti i requisiti della vecchiaia ordinaria e di quella anticipata con la struttura del mercato del lavoro. In pensione anticipata si può andare facendo valere il requisito contributivo richiesto (se uomini 42 anni e 10 mesi) a prescindere dall’età anagrafica; per la vecchiaia il requisito più importante è quello anagrafico (67 anni) purché il soggetto possa disporre di un’anzianità contributiva di almeno venti anni. In Italia la durata della vita lavorativa attesa per le donne è di 28,3 anni nel 2023 a fronte dei 34,7 medi nell’Ue. Per gli uomini, invece, la durata prevista della vita lavorativa è di 37,2 anni con un divario molto meno ampio di quello delle donne rispetto alla media Ue (39 anni nel 2023). Ciò spiega perché per la maggioranza delle donne è percorribile solo la via della vecchiaia, diversamente dagli uomini.



Nel settore del lavoro dipendente privato solo 775mila donne hanno potuto avvalersi dell’anticipo. Che sia determinante la condizione del lavoro è posto in evidenza nel caso del lavoro pubblico, dove i trattamenti di anzianità sono 1,8 milioni su di un totale di tre milioni, ma il numero delle donne è maggiore di quello degli uomini. Anche nel lavoro autonomo emergono le medesime tendenze del lavoro dipendente, anche se lo scostamento tra trattamenti anticipati (che sono comunque in numero più elevato) e quelli di vecchiaia è meno netto. Per quanto riguarda il lavoro parasubordinato, il numero dei trattamenti è ancora modesto (spesso si tratta di seconde pensioni) e non viene erogato alcun trattamento anticipato per motivi comprensibili. Mentre per quanto riguarda l’invalidità pensionabile i numeri non si discostano in maniera rilevante per uomini e donne (il che merita una riflessione essendo la platea femminile del mercato del lavoro notoriamente inferiore di quella maschile), c’entrano invece la biologia e l’attesa di vita nell’ aver trasformato la pensione ai superstiti praticamente in una riserva femminile.



È clamoroso il dato del lavoro dipendente privato, dove il numero dei maschi superstiti non arriva a trecentomila, contro i quasi due milioni delle donne. Un picco di pensioni di invalidità si nota – pur nelle dimensioni complessivamente ridotte della Gestione – nel caso del lavoro parasubordinato. Nelle altre gestioni previdenziali non si notano differenze rispetto ai trend già descritti.

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