Numeri, maledetti numeri. Sono sempre loro al centro dei pensieri di mezzo mondo dall’inizio di una pandemia che ha perfino bloccato i viaggi spaziali della Nasa (entro il 2024 dovrebbe portare la prima donna sulla Luna) dove ora collaborano ai modelli matematici (caotici) per leggere l’epidemia in Usa.
Come da noi anticipato, i modelli di tipo caotico (quindi con singolarità) sembrano quelli più adeguati a descrivere la diffusione del virus. Il caos in matematica è utilizzato per le previsioni del tempo, fiore all’occhiello della ricerca spaziale Usa, che deve poter contare sulle migliori condizioni atmosferiche possibili per gli astronauti in fase di lancio. La Teoria della complessità applicata all’informatica poi fa il resto, ovvero ricostruisce tramite Big data e Intelligenza artificiale quei “tasselli” che altrimenti rimarrebbero invischiati nelle pieghe degli eventi, importantissimi in una società moderna basata sull’iper-movimento e l’iper-interazione. Il tutto poi condito da “modelli storici” di altre epidemie simili, che ad oggi, però, pare non siano utilissimi.
Tasselli che il governo italiano ancora non ha del tutto in mano, soprattutto alla soglia di quella “fase 2” che tanto ha fatto sperare gli italiani. Nella complessità dello scenario mancano quelle variabili (che saranno svelate a pandemia conclusa) che destabilizzano i modelli utilizzati finora, spesso inconcludenti e lontani da quella realtà che forse ci è stata anticipata dal virologo Pregliasco quando ha parlato di “contagi reali” da moltiplicare almeno per 10.
Con queste premesse e con il rapporto dell’Istituto superiore di sanità (Iss) in mano sorge una domanda: è plausibile, come si legge nel report (ben 92 simulazioni di scenari), che in caso di fine-lockdown improvvida si raggiungano le 151mila unità in terapia intensiva?
Difficile sostenerlo, non conoscendo il termine di paragone (forse i veri numeri cinesi?). Il dubbio nasce da tempi e modi in cui il report è stato redatto, antecedente a questo periodo sicuramente, quindi “tarato” su ciò che succedeva in Cina.
Riaprire, secondo l’Iss, porterebbe al collasso delle terapie intensive con una stima di 151mila ricoveri già a giugno, con la concentrazione più elevata il giorno 8. Questo perché l’aumento dell’indice di contagio R0 sopra il valore 1 “avrebbe un impatto notevole sul Sistema sanitario nazionale” e, dunque, “è evidente che lo spazio di manovra sulle riaperture non è molto”. Nel dettaglio, il tasso di proliferazione del virus, ovvero Rt (la previsione del numero medio di contagi a partire da una persona che ha contratto il virus), tornerebbe sopra 2, tra il 2,06 e il 2,44 per una consistenza media su 2,25 e con le terapie intensive che andrebbero in crisi in 40 giorni.
Uno scenario che ritorna in un caso solo: assumendo come realistica la parte iniziale del percorso cinese, quei giorni di pandemia tra il 23 gennaio e il 2 febbraio nei quali – a detta dell’Oms – le infezioni raggiunsero il picco. Numeri molto “importanti, forse spaventosi, poi ridimensionati dal ricalcolo “politico” di inizio febbraio. I numeri di Pechino ufficiali non convincono (come quelli europei, del resto), perché appunto sproporzionati allo scenario cinese. Pare quindi che la simulazione parta da un calcolo simile al nostro pubblicato a febbraio.
In questa epidemia i numeri hanno un valore politico ed economico importantissimo. Il primato Usa, infatti, pone la Cina al centro di sospetti e dubbi talmente profondi da arrivare a richieste di danni. Nel mezzo il governo di Roma, che pare adottare politiche simili a quelle cinesi, di fatto prendendo come modello l’approccio di Pechino (che però ufficialmente ha numeri nettamente inferiori) improntato alla chiusura più rigida possibile, il più a lungo possibile.
I contagi (quelli ufficiali) in Italia scendono, ma ancora preoccupano il Comitato tecnico-scientifico, che ha subito sventolato, al primo odor d’apertura, un dossier da “ammazzare un toro”. Il prossimo mese pertanto sarà uno spartiacque, ovvero si comprenderà se l’Italia ha una strategia tra aperture scaglionate, nuovi contagi ed eventuali ingressi in terapia intensiva.
Ma sui numeri l’Europa non ride più: tra curve esponenziali, pochi tamponi (Francia, appena 400mila) e false partenze (Francia e Spagna, ad esempio) vi è una certa diffidenza sui numeri, che i più pare tengano al ribasso. Una coperta corta (i test sierologici stravolgeranno le tabelle) che serve nell’immediato solo per annunci (poi disattesi). Macron è caduto nella rete, di fatto dichiarando di voler aprire le scuole a maggio. Smentito dai suoi scienziati, ha puntato sulla base volontaria, sapendo che di fatto la scuola non riaprirà.
Lo scenario italiano, però, rimane il più interessante, perché il “più storico” a livello temporale: due settimane che possono “far leggere” sfumature che ancora non si colgono, a patto, però, di comparare nei modelli numeri coerenti. Quelli cinesi, sempre siano loro il termine di paragone, non paiono più molto affidabili.