La foto emblema della bambina cilena che fa la linguaccia tra i poliziotti è il simbolo della rivolta mondiale contro gli oppressori, dello tsunami umano di un milione di persone che qualche settimana fa ha travolto il centro di Santiago del Cile. Dissensi che ancora oggi non si placano. Le proteste sociali, che nessuno si attendeva così ampie, hanno preso a pretesto un minimo aumento del biglietto della metropolitana.



Con lo slogan ripetuto in piazza «Il Cile si è svegliato!» giovani, donne, anziani, studenti e lavoratori protestano in difesa dei propri diritti e per chiedere al governo un radicale cambiamento del sistema ereditato dalla dittatura di Pinochet, causa di gravi ineguaglianze e mancato accesso ai servizi sociali essenziali. Si punta il dito contro un sistema neoliberista basato sul lucro che ha venduto o privatizzato tutto: istruzione, salute, acqua, gas, trasporti collettivi.



Quello che si osserva è che la distribuzione della ricchezza in Cile è la più ingiusta non solo del Sudamerica, ma anche tra tutti gli altri Paesi ad alto reddito. L’aumento del biglietto ha avuto un certo impatto sulle finanze delle famiglie, perché accompagnato dai recenti aumenti del costo della luce e dell’acqua, dalla crisi del sistema sanitario nazionale e da una riforma del sistema pensionistico privato promessa ma mai attuata. Ci sono famiglie con basso reddito che possono arrivare a spendere in trasporti fino a quasi il 30% del loro stipendio, mentre nelle classi sociali più ricche questa percentuale scende a meno del 2%.



Un dato significativo è fornito anche dal salario: lo stipendio minimo stabilito per legge è di 301mila pesos cileni (370 euro), ma secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica del Cile la metà dei lavoratori cileni percepisce uno stipendio non superiore a 400mila pesos (490 euro).

Queste enormi disuguaglianze sociali ed economiche sono presenti in Cile da moltissimi anni. Secondo un rapporto pubblicato nel 2017 dal Pnud, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo del Cile, l’inizio di queste grandi disuguaglianze è da imputare all’assegnazione delle terre realizzata durante l’epoca coloniale spagnola, che favorì i discendenti europei e segnò l’inizio della classe alta cilena. Il documento del Pnud sostiene che, nel corso degli anni, quella struttura sociale così diseguale continuò a sopravvivere prima tramite il sistema delle “haciendas”, grandi aziende agricole dove da una parte c’erano i padroni e dall’altra gli impiegati e i “peones”, i lavoratori agricoli, e poi tramite il sistema di lavoro imposto nelle miniere. Le diseguaglianze sarebbero poi state perpetuate, come riportato da ilpost.it, nel passaggio alla moderna economia di mercato con una distribuzione delle risorse, un quadro istituzionale, un sistema normativo e legale che favoriscono le diseguaglianze di reddito.

E nonostante in Cile l’economia sia cresciuta velocemente negli ultimi anni, il tasso di povertà si è ridotto in modo sostanziale dal 1990 a oggi, traducendosi in una crescita dei consumi che ha creato l’illusione di un Paese sviluppato. Ma si è trattata appunto di un’illusione, poiché la crescita del Cile, e la stessa riduzione della povertà, è stata possibile riducendo i diritti economici e sociali della popolazione, creando altresì insostenibili livelli di disuguaglianza. Il Cile è uno dei Paesi più diseguali del mondo, dove solo l’1% della popolazione detiene il 26,5% della ricchezza, mentre il 50% più povero appena il 2%. Ciò è anche il frutto di un regime fiscale regressivo, dove tutti indistintamente pagano poche tasse.

È evidente che una reale causa della disuguaglianza non è tanto l’aumento del reddito dei ricchi quanto il crollo del benessere dei più poveri, come spesso accade durante una crisi economica, poiché il divario tra ricchi e poveri aumenta soprattutto a causa del crollo dei redditi più bassi.

Alcuni studi dell’Ocse mostrano come la crescita economica è influenzata in modo negativo dalla disuguaglianza. Ogni aumento della disuguaglianza nei redditi equivalenti riduce la crescita economica. E quindi la possibilità di combattere la povertà tramite la crescita. Probabilmente con politiche redistributive si avrebbero effetti positivi sulla crescita, abbattendo o almeno riducendo le disuguaglianze nelle fasce basse dei redditi.

Empresas B e il challenge Desafìo 10X

A dare un segnale forte e chiaro di come affrontare e risolvere il pesante conflitto sociale ci hanno pensato nei giorni scorsi le Empresas B (ovvero le B Corp cilene). Si tratta di imprese che mirano a produrre un beneficio per i clienti, la società e il pianeta (da cui sono nate in Italia le società benefit. Tali imprese (B Corp e Società benefit) hanno l’obiettivo di trasformare l’economia estrattiva (il cui modello economico è basato sull’accumulazione e uso delle risorse finalizzato alla concentrazione del beneficio economico con le sue esternalità negative, gli sfruttamenti, le esclusioni e le tendenze estreme prodotte dal profitto ad ogni costo) in un’economia rigeneratrice e ristoratrice, ovvero di creazione di benessere e qualità di vita in un’ottica di prosperità durevole e condivisa.

Alcuni giorni fa, l’imprenditore cileno e presidente di Quiñenco, Luksic, ha dichiarato che nessuno dei lavoratori della holding e delle controllate Banco de Chile, CCU Enex-Shell, Vapores e SAAM guadagnerà meno di 500mila pesos a partire dal 2020. “Le crisi si risolvono con azioni concrete, noi come Gruppo faremo il primo passo”. A seguire si sono aggiunte subito molte altre imprese del Sistema B (il movimento BCorp dell’America Latina).

Da qui è poi partita l’iniziativa Desafío10X, che sollecita le imprese a impegnarsi a ridurre volontariamente la differenza tra i loro stipendi massimi e minimi a solo 10 volte o a fissare uno stipendio minimo di 22 UF lordi (l’Unidad de Fomento è un’unità di conto utilizzata in Cile, pari a poco più di 33 euro). In Cile lo stipendio di un direttore generale supera di 30 volte quello dei suoi operatori e 47 volte il salario minimo. L’iniziativa muove dalla volontà di dare un contributo significativo alla pace e alla prosperità sociale, per costruire un Paese più giusto e migliore. È stata creata anche una piattaforma alla quale già partecipano più di 900 imprese con un impatto di oltre 24mila beneficiari (dato, però, in continuo aggiornamento).

Diseguaglianze e povertà da non sottovalutare anche in Italia

Negli ultimi anni è aumentata anche in Italia la disuguaglianza dei redditi. Uno studio della Banca d’Italia riporta una distribuzione del patrimonio italiano fortemente concentrata, in cui il 10% della popolazione con maggiore ricchezza detiene il 46% del patrimonio totale.

Queste disuguaglianze di reddito e di ricchezza creano delle barriere a monte, che predeterminano lo stato di ricchezza nel corso della vita in base alla famiglia in cui si è nati, ponendo quindi un problema di giustizia sociale, su cui bisognerebbe intervenire per ridurre queste disuguaglianze di opportunità.

Da un report elaborato dal Forum Disuguaglianze Diversità emergono delle proposte per la giustizia sociale che mirano a ridurre le disuguaglianze, non solo di reddito e di ricchezza, ma anche disuguaglianze di opportunità, di decisione e di controllo. Tra le varie azioni possibili vi sono, ad esempio, interventi mirati che consentano allo strumento dei Workers Buyout (WBO), ovvero l’acquisto dell’impresa in crisi o in difficile transizione generazionale da parte dei suoi lavoratori e lavoratrici, di essere utilizzato in maniera più diffusa in Italia: rafforzare la formazione dei lavoratori e delle lavoratrici nel momento dell’assunzione del nuovo ruolo; agevolare fiscalmente i mezzi finanziari investiti da lavoratori e lavoratrici; accelerare l’opzione WBO al primo manifestarsi dei segni di crisi, oppure di assegnare missioni strategiche di medio-lungo termine nelle imprese pubbliche per orientare le scelte aziendali, in particolare tecnologiche, verso obiettivi non solo di competitività, ma anche di giustizia ambientale e giustizia sociale.

Ma si avanza anche la proposta, al fine di ridurre le disuguaglianze di redditi, a favore soprattutto delle fasce di reddito più povere, di imporre anche in Italia minimi salariali orari in tutta Italia e il rafforzamento dell’efficacia delle organizzazioni sindacali estendendo a tutti i lavoratori di ogni settore i contratti firmati tra sindacati e imprese.

Un passaggio generazionale più giusto

Un aspetto importante nel processo di riproduzione delle disuguaglianze di ricchezza che richiede un intervento redistributivo risiede nel passaggio generazionale, nel trasferimento da una generazione a quella successiva del divario di ricchezza.

Una proposta avanzata dal ForumDD per la riduzione della disuguaglianza di ricchezza e per quella di opportunità prevede una “eredità universale” pari a 15mila euro da versare al compimento della maggiore età a ogni ragazzo o ragazza, finanziata da una tassazione progressiva sulla somma di tutte le eredità e donazioni ricevute durante l’arco di vita con una soglia di esenzione di 500mila euro.

L’effetto dovrebbe essere quello di aumentare indistintamente le opportunità dei giovani, che con questa dotazione finanziaria iniziale, accompagnata da un tutoraggio che parta dalla scuola, potrebbero avere diverse possibilità, tra cui studiare in una città diversa da quella dei genitori o iniziare una propria attività imprenditoriale. Con l’esenzione proposta al di sotto di 500mila euro, solo il 2,5% degli eredi riceve donazioni superiori a 500mila euro e quindi solo loro sarebbero soggetti a questa nuova imposta sui vantaggi ricevuti.

Da non sottovalutare anche la crescente povertà educativa, che in Italia colpisce i minori. Secondo quanto emerge dal secondo Rapporto sulla povertà educativa minorile in Italia pubblicato da Openpolis nel 2005, era assolutamente povero il 3,9% dei minori di 18 anni, un decennio dopo la percentuale di bambini e adolescenti in povertà è triplicata, e attualmente supera il 12%.

Sono dati allarmanti, che evidenziano le gravi disparità nell’accesso ai servizi educativi per bambini e ragazzi Avere accesso a una educazione di qualità è non solo un diritto fondamentale, ma la prima strategia di azione efficace contro la crescita esponenziale delle diseguaglianze e della povertà. È necessario un piano di contrasto alla povertà educativa, che possa essere anche volàno di un nuovo sviluppo, civile ed economico.