Il lavoro ai tempi del Covid-19 non è, per fortuna o purtroppo, solo lo smart working. È stato pubblicato, ad esempio, solo pochi giorni fa un interessante studio di Eurofound sulle vite lavorative delle persone con due, o più, lavori contemporaneamente nel quale ci si chiede se questa condizione sia, fondamentalmente, un privilegio o una necessità.
Il fenomeno, almeno secondo lo studio europeo che si presume analizzi solo il lavoro dichiarato, interessa una percentuale relativamente piccola della forza lavoro dell’Unione europea pari a circa il 4% nel 2018. Questo dato rappresenta, tuttavia, ben 9,2 milioni di lavoratori: 4,5 milioni di uomini e 4,7 milioni di donne. Sembra, inoltre, essere questa una condizione in espansione nel nostro mercato del lavoro comunitario: i numeri sono infatti aumentati del 3,5% dal 2013.
I ricercatori hanno osservato, per capire meglio le dinamiche, le condizioni dei lavoratori nella loro occupazione “principale” per provare a capire come mai ne cercano una seconda e così caratterizzare meglio questa scelta. Spesso sono le cattive condizioni di lavoro nel lavoro principale, un numero di ore insufficienti o un’inadeguata retribuzione a portare le persone a cercare un altro impiego. In altri casi si va in questa direzione a causa di uno scarso utilizzo delle capacità e/o abilità professionali che si ritiene di possedere.
Infatti, alcuni lavoratori intraprendono un lavoro “extra” per avere l’opportunità di acquisire esperienza, migliorare o sviluppare un business. Sono, in questo quadro, professionisti ben il 28% delle persone che hanno almeno due lavori. Seguono, in questa classifica, i lavoratori nel servizio ai clienti e le vendite (17%), i tecnici (16%) e, in chiusura, le persone occupate nelle occupazioni più semplici (10%).
Nel periodo 2013-2018, in particolare, si è registrato un aumento di operai altamente qualificati, impiegati (dirigenti, professionisti e tecnici) tra le persone con più lavori, accompagnato da una diminuzione degli operai poco qualificati (lavoratori agricoli, artigiani, operatori di impianti e macchine e lavoratori in professioni elementari).
Viene da chiedersi, tuttavia, come questo fenomeno muterà dopo il coronavirus e se, come molti magari temono/immaginano, avere un secondo lavoro potrebbe diventare una necessità per una componente significativa della forza lavoro più debole, mal retribuita e che rischia di scivolare, velocemente, ai margini della nostra società. Questo, peraltro, potrebbe realizzarsi con un ulteriore, e significativo, rafforzamento del lavoro “nero” e irregolare, non preso in considerazione dallo studio europeo.
Sarà, quindi, necessario vigilare più del solito. Il lavoro nero è, infatti, un virus cronico del nostro Paese che, è opportuno ricordarlo, rende tutti più deboli: i lavoratori e le imprese che seguono le regole e il nostro sistema di welfare e la sua sostenibilità.