Il 2020 dal punto di vista dell’occupazione non può certamente essere guardato per cercare elementi positivi. Se lo vogliamo guardare come indicatore può però darci spunti per il futuro. Gli effetti della pandemia hanno messo in evidenza ritardi e lacune del nostro mercato del lavoro. La crescita del telelavoro ha accelerato la domanda di digitalizzazione di processi produttivi e dell’organizzazione del lavoro. Lo smart working non coinvolgerà tutte le professioni, ma di sicuro riguarderà il futuro di molte attività impiegatizie.
La crisi sanitaria ha però accentuato i dualismi presenti nel nostro mercato del lavoro. Giovani e donne sono stati più penalizzati di quanto già non fossero prima dell’agire del lockdown e sono andati a ingrossare le fila degli inattivi, ritenendo che sia un periodo in cui è inutile cercare nuovo lavoro.
Il blocco dei licenziamenti e l’uso esteso della cassa integrazione ha dato l’immagine di un mercato del lavoro immobile. In realtà si è registrata una caduta del numero delle ore lavorate, la crescita del tasso di inattività, la stagnazione dei salari e un calo senza precedenti del lavoro autonomo.
L’indagine svolta da Unioncamere e Anpal con il sistema informativo Excelsior ci dà un quadro del 2020 in cui emergono con certezza i ritardi del nostro sistema di accesso alle professioni. Si stima che le assunzioni delle imprese abbiano avuto un calo del 30%. Significa che in un anno vi sono stati circa un milione e quattrocentomila contratti in meno, contando anche lavori stagionali e di collaborazione. La contrazione della domanda di lavoro è stata molto forte nei settori accoglienza e ristorazione (-41%) e anche la moda segna un forte calo (-38%). Seguono poi le costruzioni, filiera agroalimentare e servizi socio-sanitari privati con ribassi fra il 15% e il 20%.
Ciò che colpisce dai dati dell’indagine è che nonostante il calo della domanda le imprese segnalano un aumento delle difficoltà a trovare i profili professionali ricercati. Il tasso di difficoltà rilevato passa dal 26% del 2019 al 30% dello scorso anno. Parte di questa insoddisfazione deriva certamente dal fatto che le imprese insistono a richiedere figure specializzate e con esperienza. Ciò per circa il 60% dei casi. Ma a questa esigenza non seguono investimenti in formazione.
Dato che la domanda di lavoro si è concentrata su competenze digitali e green, spesso di livello specialistico, trasversali a molti settori produttivi, stupisce che nonostante il dibattito in corso su questi temi non vi sia una adeguata offerta di lavoro. Certo nel corso dell’anno le imprese hanno accelerato nella scelta di riorganizzarsi e investire per avere un salto digitale più veloce di quanto previsto in precedenza. Ciò ha portato a una domanda di lavoro che ha puntato ad alzare il livello tecnico-scientifico delle figure professionali da immettere nella produzione.
Nella domanda di lavoro del 2020 le professioni tecnico-scientifiche, quelle ad alta specializzazione tecnica insieme alle figure dirigenziali hanno raggiunto il 20% del totale delle professioni. Tra le figure tecniche ricercate ben 2 su 3 sono legate ai servizi digitali. Emergono però come di difficile reperimento, dato l’incremento della domanda, farmacisti, ingegneri civili e anche esperti in progettazione formativa.
La spinta a cercare figure professionali con formazione più qualificata ha determinato un aumento della domanda di diplomati e laureati. Oltre il 50% delle figure professionali richieste deve avere almeno il diploma secondario. Cresce di due punti percentuali la richiesta di laureati, si rileva già un 3% di figure di alta specializzazione da corsi Its. Anche per le figure professionali di minore specializzazione (le stesse imprese artigiane lamentano la difficoltà di reclutamento per almeno 4 figure professionali su 10) è comunque richiesta la qualifica professionale.
L’alzarsi della richiesta di specializzazione formativa fa emergere con ancora maggiore evidenza lo scarto fra percorsi formativi e lavoro. Molte professioni sono state innovate dagli impatti delle tecnologie e la formazione professionale non ha tenuto il ritmo del cambiamento. Si pensi solo al mutare della professione di meccanico di fronte alle auto elettriche e che la meccatronica non si ferma certo solo al settore della mobilità. Inoltre, è cresciuta ancora la domanda da specializzazione in materie tecnico-scientifiche e matematiche. La scarsa propensione femminile a scegliere corsi di formazione in questi campi determina un ulteriore gap professionale maschi/femmine con impatto su occupazione, carriere e salari.
Il superamento del mismatching fra domanda delle imprese e formazione dell’offerta di lavoro non basterà certo a risolvere i problemi occupazionali. Investimenti per la crescita delle industrie nazionali e per le infrastrutture sono determinanti per riuscire ad avere maggiore produttività e maggior numero di posti di lavoro. L’impegno di molte risorse per l’occupazione nell’ambito delle scelte chieste dall’Europa per il Recovery fund non può però non porsi l’obiettivo di investire in formazione cercando di innalzare la preparazione tecnico-scientifica di tutta l’offerta di lavoro. C’è bisogno di più formazione per chi entra nel mercato del lavoro, per chi vuole rimanere occupato e per chi deve cercare una nuova occupazione o migliorare la propria posizione lavorativa.
Come indicato anche nelle riflessioni sul mercato del lavoro del 2020 consegnate dal Cnel, la riforma della formazione è uno dei tasselli fondamentali del piano di rilancio del Paese. Si deve intervenire sui percorsi duali dall’istruzione professionale di base fino agli Its per creare un vero canale di formazione tecnica, anche di alta professionalità, attraverso i contratti di apprendistato. Si deve poi investire in un piano straordinario di aggiornamento formativo sull’economia digitale e green per promuovere il lavoro di Neet e di molti giovani che sono usciti dal mercato del lavoro.
Il tutto regge se si promuove un grande piano di formazione permanente e si costruisce un vero sistema di politiche attive del lavoro che abbia un sistema informativo nazionale a supporto dei servizi e un sistema di contratti di ricollocazione e di espansione capaci di assicurare un nuovo modello di ammortizzatori sociali realmente universalistico.