Sorpresa e speranza. Dopo due anni di continui rialzi, le emissioni di CO2 mondiali hanno registrato uno stop e sono rimaste stabili ai livelli del 2018. Secondo i dati rilasciati ieri dall’IEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia, smentendo le cupe previsioni circolanti da mesi, nel 2019 il volume di emissioni di carbonio prodotto dal settore energetico è rimasto inchiodato a 33 miliardi di tonnellate.



Nel conteggio dell’Agenzia il calcolo di emissioni comprende non solo quelle derivanti dalla produzione elettrica, il riscaldamento e il condizionamento, ma anche quelle emesse da tutti i tipi di trasporto e filiere industriali. Un perimetro che rappresenta circa l’80% delle emissioni complessive, rimangono fuori computo le emissioni dall’agricoltura e quelle originate da eruzione di vulcani o da catastrofi naturali come gli incendi divampati in Australia e in Brasile.



Questa stagnazione delle emissioni è tanto più notevole se si pensa che l’economia mondiale è invece cresciuta del 2,9%. Questo disaccoppiamento incoraggia a sperare anche nell’ipotesi avanzata da Fatih Birol, capo dell’IEA, di “riuscire a sconfiggere il cambiamento climatico in questo decennio”. Ma la strada è comunque ancora lunga affinché il 2019 sia ricordato come il picco delle emissioni e non come un anno di pausa eccezionale nella crescita. Le tecnologie abilitanti ci sono; tocca allineare governi, impresa, finanza e opinione pubblica per una crociata efficace contro il cambiamento climatico.



Per fortuna alcune tendenze di fondo sono irreversibili: la diffusione delle energie rinnovabili, la chiusura di centrali a carbone in Europa e America del Nord, e una domanda di energia più contenuta per effetto dell’efficientamento nei processi produttivi energivori. Ci sono poi effetti congiunturali come il notevole rallentamento dell’economia indiana, la crescita di peso del nucleare nel mix elettrico del Giappone e della Corea. Per altri fattori è difficile stabilire se l’esito sia permanente o eccezionale: l’inverno meno rigido nell’emisfero nord, la locomotiva cinese in affanno, la convenienza dei prezzi del gas che incentiva la sua sostituzione al carbone.

La flessione delle emissioni di CO2 che si riscontra in tutte le economie avanzate controbilancia la loro crescita altrove. Gli Stati Uniti hanno registrato un declino del 2,9%: 140 milioni di tonnellate di emissioni in meno. Complessivamente è stato evitato quasi un miliardo di tonnellate di emissioni nell’atmosfera rispetto al picco del 2000. Questo grazie al ruolo sempre più marginale del carbone ai minimi storici dal 1975 nonostante l’apparente sostegno di Donald Trump. La palma spetta all’Europa, meno emissioni per 5% (evitate 160 milioni di tonnellate), soprattutto per merito del settore energetico.

Per la prima volta in assoluto la generazione di elettricità con gas ha superato quella delle centrali a carbone. Mentre la produzione eolica ha quasi raggiunto l’output elettrico da carbone. In Giappone si registra un 4% di contrazione delle emissioni di carbonio (pari a 45 milioni di tonnellate) soprattutto per effetto della riaccensione delle centrali nucleari. L’elettricità generata nei Paesi avanzati è sempre più low carbon: ogni kWh prodotto nel 2019 ha emesso meno 6,5% di CO2 rispetto al 2018; significa un miglioramento tre volte superiore alla media degli ultimi 10 anni. Sempre nelle economie occidentali le emissioni complessive del settore elettrico sono equiparabili a quelle del 1980 quando la domanda di elettricità era un terzo in meno rispetto a oggi

Purtroppo non altrettanto bene nel resto del mondo dove le emissioni sono invece cresciute di 400 milioni di tonnellate. L’aumento è per lo più concentrato in Asia dove il numero di centrali a carbone continua ad aumentare. A titolo di raffronto: la capacità degli impianti a carbone in costruzione in Cina equivale a tutta la potenza delle centrali a carbone funzionanti in Europa.

Che fare? La Commissione europea ha varato un fondo per sostenere i paesi, soprattutto dell’Est Europa, più sbilanciati sul carbone, a traghettare verso un’economia a basso intensità carbonica. Però l’ipotesi di mutuare questo approccio a livello mondo sarebbe finanziariamente insostenibile, oltreché socialmente poco desiderabile dai cittadini delle economie che hanno già fatto sforzi. Non è certo un suggerimento a non agire, ma un’indicazione a immaginare strade alternative, magari non ottimali, ma agibili.