Un recentissimo studio di Eurofound sulle implicazioni, per l’Europa, del Covid-19 sull’occupazione e la vita lavorativa delle persone offre, certamente, alcuni utili stimoli al dibattito in corso sulle scelte da fare per il Recovery plan italiano con particolare riferimento alle, ormai ineludibili, riforme del mercato del lavoro (ammortizzatori sociali, occupazione giovanile, “normalizzazione” dello smart working, ecc.). Sembra, quindi, opportuno sottolineare alcune delle prime, ma più significative, considerazioni che la ricerca europea offre sullo stato di salute del mercato del lavoro del nostro (vecchio) continente.
Nel secondo trimestre del 2020, l’occupazione nell’Unione europea è calata, rispetto allo stesso periodo del 2019, del 2,4%, le ore settimanali di coloro che ancora lavoravano sono diminuite di quasi un’ora e la quota di lavoratori occupati ma che non lavorano, come quelli ad esempio in Cig, è più che raddoppiata al 17%.
A luglio 2020, quasi il 50% dei lavoratori dell’Unione era ormai passato, quando possibile, allo “smart working” esclusivo o parziale, erigendo così nuove barriere nel nostro mercato del lavoro a favore dei lavoratori più istruiti e/o quelli residenti nelle aree urbane che erano, per un’ampia gamma di motivi, in una posizione migliore per lavorare da casa.
In questi mesi i giovani hanno registrato poi il calo più netto dell’occupazione, mentre i lavoratori tra i 25 e i 54 anni, così come i lavoratori (maschi) più anziani, hanno avuto maggiori probabilità di vedere il loro orario di lavoro ridotto. La necessità di evitare un’altra “generazione perduta” di giovani deve quindi, secondo lo studio europeo, diventare una priorità, ulteriormente rafforzata rispetto al pre-Covid, quando si progetteranno le politiche attive del mercato del lavoro per mitigare/ridurre le ricadute della crisi economia e sociale già in corso.
Nello stesso periodo anche i lavoratori con condizioni di lavoro (più) precarie sono stati particolarmente esposti alla perdita del loro “posto” di lavoro a causa della pandemia. Si pensi che il numero di contratti “a tempo” nell’Unione a 27 è diminuito di ben il 17% tra la primavera del 2019 e quella del 2020, rappresentando così oltre i tre quarti del calo dell’occupazione aggregata.
Sistemi assimilabili alla nostra Cassa integrazione (variamente nominati e regolamentati) hanno, in questo quadro, sicuramente attenuato l’impatto del Covid sul mercato del lavoro, sebbene la portata degli interventi, e il livello di protezione del reddito offerti, siano variati in modo significativo tra i diversi Paesi. La crisi ha, in generale, fornito un nuovo impulso, nella maggior parte dei Paesi, per estendere la protezione del reddito a gruppi non protetti in precedenza. Tuttavia, il livello di sostegno concesso ai lavoratori autonomi spesso è inferiore alla protezione fornita ai lavoratori dipendente a causa dei più stringenti criteri di accesso che li caratterizza.
La fase di ricostruzione che verrà offre, insomma, l’opportunità di imparare le lezioni del passato, a partire da quelle impartite dalla crisi che stiamo, ahimè, ancora vivendo, per operare sui limiti di un impianto complessivo di regolamentazione del lavoro nata, in molti casi, dalla necessità di dare risposte immediate all’interno di una cornice, complessivamente, usurata e incapace di dare risposte efficaci a un mondo in profonda e costante trasformazione.
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