Iniziano oggi gli Stati generali fortemente voluti dal Premier Conte per rilanciare l’economia del nostro Paese e, probabilmente, anche il suo esecutivo guardando alla naturale scadenza della legislatura del 2023. Ogni elaborazione “progettuale” parte, però, necessariamente da un’analisi di dati e del contesto. Risulta utile, in questa prospettiva, il periodico rapporto (trimestrale) dell’Istat rilasciato ieri.



Dati, ovviamente, parziali perché riferiti, in gran parte, al periodo pre-Covid, ma che possono, tuttavia, aiutare a leggere le criticità dei nostri tempi ed immaginare soluzioni. Emerge così che nel primo trimestre 2020 le ore lavorate registrano una forte diminuzione sia rispetto al trimestre precedente (-7,5%), sia rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (-7,7%). Tali dinamiche risultano coerenti, peraltro, con la fase di eccezionale, e generale, caduta dell’attività economica che, nell’ultimo trimestre, ha risentito degli effetti della crisi sanitaria, con una flessione del Pil pari al 5,3% in termini congiunturali.



Nel primo trimestre del 2020, quindi, il numero di persone occupate diminuisce in termini congiunturali (-101 mila, -0,4%), in particolare a seguito dell’aumento dei dipendenti a tempo indeterminato e del forte calo di quelli a termine e degli autonomi. Il tasso di occupazione è così pari al 58,8%, in diminuzione di 0,2 punti rispetto al quarto trimestre 2019.

È utile evidenziare, tuttavia, come nei dati più recenti del mese di aprile 2020, al netto della stagionalità, l’effetto dell’emergenza Covid-19 è decisamente più evidente: gli occupati calano di 274 mila unità (-1,2%) rispetto a marzo 2020 e il tasso di occupazione scende al 57,9% (-0,7 punti in un mese).



Nell’andamento tendenziale poi, rallenta la crescita del numero di occupati (+0,2%, +52 mila rispetto al primo trimestre 2019), ancora una volta per effetto dell’aumento dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato a fronte del calo di quelli a termine e degli autonomi. La crescita è, in questo quadro, più accentuata tra i lavoratori part-time (per il 63,0% di questi lavoratori involontario).

I numeri, insomma, non sono particolarmente incoraggianti e l’auspicio è che da uno studio serio nascano proposte sostenibili per la ripartenza del Paese. Una ripartenza, però, che non può/deve essere all’insegna del ritorno al passato, ma che sappia declinarsi guardando all’innovazione e alla qualità.

Solo, infatti, con un “buon” rilancio si creeranno le condizioni per poter essere inclusivi e dare risposte, in particolare di welfare, per i molti (troppi?) che saranno esclusi dal mercato del lavoro sempre più globale, e competitivo, che verrà.

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