Mercoledì il “quasi” ministro del Lavoro di un ipotetico Governo Di Maio, ora Presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha presentato l’annuale rapporto sulle attività dell’Istituto. L’occasione è, come sempre in questi casi, ghiotta per riflettere sullo stato di salute del nostro mercato del lavoro ricorrendo a dati in possesso di un osservatorio certamente qualificato e privilegiato.



Quest’anno poi il lavoro è particolarmente interessante perché si pone l’ambizioso obiettivo di ampliare l’analisi a un decennio, peraltro particolarmente movimentato, caratterizzato, come noto, da una grande crisi economica e sociale. Emergono, in questo quadro, alcuni elementi di sintesi.

Il recupero dei livelli occupazionali pre-crisi è stato pressoché conseguito con mero riferimento al numero di occupati, tuttavia la distanza rimane tuttora significativa per le unità lavoro (-3,5%) e per le ore lavorate (-4,8%). La ripresa è stata nettamente trainata dalla crescita dei lavoratori dipendenti mentre si assiste a una flessione degli autonomi pressoché continua nonostante le semplificazioni e i progetti di “flat tax”.



All’interno del lavoro dipendente poi emerge una tendenza di grande rilievo costituita dalla crescita consistente (in larga misura prevalentemente, e ovviamente, involontaria) del part-time. Si pensi, ad esempio, che attualmente questa tipologia di orario coinvolge circa il 20% dei lavoratori contro il 15% del 2008. Se si guardano, inoltre, i rapporti di lavoro a tempo determinato, dopo un lungo periodo in cui hanno oscillato attorno al 14%, tra il 2017 e il 2018 hanno evidenziato una rapida crescita, incentivata anche dalle restrizioni normative, previste dal Jobs Act, al riguardo di altre tipologie di rapporti di lavoro quali le collaborazioni più o meno a progetto.



Allo stesso tempo la quota di occupati a tempo determinato nel 2018 ha raggiunto anche il 17%. Nel primo trimestre 2019 questa percentuale è scesa al 15,9%, per effetto, oltre che del consueto andamento ciclico, anche, almeno secondo Tridico, della nuova normativa di settore (il decreto dignità) varata nel 2018 dal Governo del cambiamento.

Il lavoro, insomma, da fare, e soprattutto da creare, resta indubbiamente molto e sarebbe opportuno smettere, da tutte le parti, di rivendicare degli zero virgola all’operato dell’esecutivo amico/nemico di turno. Sarebbe, forse, necessaria una riflessione, seria e de-idelogizzata, su come il mondo di lavoro sia, e stia ancora facendolo, cambiato. Trovare, insomma, nuove parole per descrive qualcosa di profondamente trasformato sotto i nostri occhi. Questo sì che sarebbe, oltre gli slogan, un grande cambiamento per il nostro Paese.