La rilevazione mensile Istat sull’andamento dell’occupazione nel mese di giugno 2019 segnala una sostanziale stabilità del volume degli occupati, come saldo tra la crescita dell’occupazione femminile (+15 mila unità) a danno di quella maschile (-21 mila), e dei lavoratori dipendenti (+52 mila) rispetto a quelli indipendenti(-58 miila). Su base annua l’incremento continua a essere positivo per l’occupazione nel suo insieme (+115 mila). Frutto in particolare della ripresa degli occupati dipendenti avvenuta nel primo trimestre del 2019, che ha consentito di recuperare un andamento non particolarmente brillante della seconda parte del 2018.
Le rilevazioni mensili dell’Istat, diversamente da quelle trimestrali e annuali, non consentono di avere una visione approfondita della qualità delle tendenze, a partire da quelle settoriali e territoriali, che rimangono comunque disponibili per formulare delle ragionevoli ipotesi su quanto sta avvenendo nel mercato del lavoro italiano.
La tenuta dell’occupazione in un contesto di sostanziale stagnazione dell’economia nazionale, dato in sé positivo perché segnala un maggiore coinvolgimento delle persone nel cogliere le opportunità lavorative, contempla inevitabilmente un deterioramento della qualità dei rapporti di lavoro, soprattutto in termini di produttività e di ore lavorative medie pro capite. Su questo concordano in generale tutti gli analisti e le conferme si ritrovano nella crescita del numero dei part-time involontari e nella progressiva riduzione dei lavoratori indipendenti, che diversamente da quelli dipendenti non usufruiscono delle reti di protezione delle varie tipologie della cassa integrazione.
La crescita su base annua dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, molto più significativa di quelli a termine, sembrerebbe essere stata stimolata dagli sgravi contributivi previsti per le riconversioni dei contratti a termine in quelli a tempo indeterminato che ha coinvolto, secondo un’analisi svolta dall’Inps nello scorso mese, circa 270 mila lavoratori.
Anche in questo caso l’effetto è positivo nel breve periodo. Tuttavia l’indicatore della riduzione delle assunzioni dei lavoratori a termine, non sempre è da interpretare come un dato da valorizzare. Nelle fasi congiunturali negative dell’economia, potrebbe essere il segnale di un atteggiamento prudente delle aziende che non depone bene per il futuro.
Un altro dato significativo, evidenziato dall’Istat, ma poco ripreso dai commentatori, è quello della crescita tendenziale del tasso di occupazione generale, e per corti di età, che è in corso per effetto della decrescita demografica del numero delle persone in età di lavoro. Una tendenza che comporta inevitabili riflessi sull’invecchiamento della popolazione occupata. Nel corso dell’ultimo anno, gli over 50 sono cresciuti di quasi 300 mila unità.
L’invecchiamento della popolazione attiva, nonostante la positiva crescita degli under 24 nel medesimo periodo, rappresenta un aspetto cruciale del nostro mercato del lavoro, soprattutto per gli effetti negativi in termini di sostenibilità della mobilità lavorativa e della riconversione professionale delle persone coinvolte. Questo aspetto, insieme ad altre tendenze, ad esempio quella della diminuzione dei lavoratori indipendenti, è ormai parte delle componenti strutturali del nostro mercato del lavoro.
Purtroppo le analisi correnti rimangono attardate sulla valutazione dei trend del lavoro a termine rispetto a quello a tempo indeterminato, con l’assillo permanente di fare l’esame del funzionamento delle innovazioni normative che il Governo di turno non farà mai mancare sul tema. Una sottovalutazione grave della complessità delle problematiche del nostro mercato del lavoro che purtroppo si riflette sulla qualità delle politiche che vengono adottate.