Immaginiamo di organizzare, come si faceva da ragazzi, una “caccia al tesoro”. A ogni coppia (un uomo e una donna) veniva consegnato un questionario contenente domande a cui rispondere e oggetti da trovare. Ammesso e non concesso che qualcuno si iscriva alla gara, facciamo l’ipotesi che la prima domanda sia la seguente: “Qual è l’area del Paese in cui è più elevata la quota di dipendenti pubblici, rispetto alla popolazione residente?”. Siamo pronti a scommettere che i giudici di gara riceverebbero, nel 99% dei casi, l’indicazione di una regione meridionale o comunque dell’area del Sud. Invece, si tratterebbe di un errore da matita blu.
La smentita di questo luogo comune è arrivata sugli scudi del Censimento sulle istituzioni pubbliche (2017) dell’Istat. La maggiore concentrazione di dipendenti pubblici rispetto alla popolazione si registra, non nel Sud “assistito e clientelare”, ma nei territori del Nord a Statuto speciale: regione Valle d’Aosta e Province autonome di Trento e Bolzano/Bozen (le uniche con più di 7 dipendenti pubblici ogni 100 abitanti). La quota più bassa di dipendenti pubblici sulla popolazione residente si registra in Lombardia (3,8), Campania e Puglia (4,2), Veneto (4,3): regioni diverse tra di loro, ma partecipi di questa caratteristica.
Il Mezzogiorno, tuttavia, conferma una tendenza che purtroppo non è un luogo comune. Il fenomeno dei commissariamenti degli enti locali in Italia ha registrato un aumento del 23,2% tra 2015 e 2017, per via dell’aumento del numero di comuni sottoposti a procedura straordinaria nel Mezzogiorno. Se nel 2015 l’incidenza dei comuni del Sud e delle Isole era rispettivamente del 46,4% e del 13,6%, nel 2017 è salita al 53,2% e al 16,9%. Di conseguenza, si è ridotta l’incidenza dei comuni commissariati nel Nord (dal 25,6% del 2015 al 18,2% del 2017) e nel Centro (dal 14,4% all’11,7%) da ricondursi, in quest’ultimo caso, alla riduzione dei provvedimenti di commissariamento avvenuti nella regione Lazio.
La Pubblica amministrazione non è una definizione al femminile sia nell’aggettivo che nel sostantivo, in conseguenza di una galanteria della lingua italiana: con riferimento al genere, le donne occupate nella Pubblica amministrazione sono 2 milioni e rappresentano la componente maggioritaria, con una quota pari al 56,9%% del personale in servizio. La più elevata presenza di donne si registra negli enti del Sistema sanitario nazionale (Ssn) con il 65,9%, il valore più basso nelle Regioni (48,3%) e Università pubbliche (49,6%). Analizzando le tipologie contrattuali, la quota maggiore di tempi determinati si riscontra tra le donne (9,4% contro 7,2%). L’occupazione femminile è nettamente superiore nelle regioni del Nord (63,7% nel Nord-ovest e 62,5% nel Nord-est a fronte del 56,9% della media nazionale), nelle quali si rileva anche una quota superiore alla media di personale non dipendente.
Come già rilevato con il precedente censimento permanente, anche nel 2017 si conferma limitata la presenza femminile nelle posizioni di vertice delle istituzioni. La quota femminile si attesta, come nel 2015, al 14,4%, nonostante le donne rappresentino la componente maggioritaria in termini di personale in servizio (56,9%) e aumentino di quasi un punto percentuale rispetto al 2015. Guardando alla forma giuridica, la quota più bassa di donne ai vertici pubblici si ritrova nelle Province e città metropolitane (7,6%) e nelle Università (8,5%). Il valore più alto si registra invece negli Enti pubblici non economici (15,6%). Per i tempi determinati, fatta eccezione per valori molto elevati a Bolzano/Bozen (18,4%) e Trento (13,0%), non si rileva una particolare caratterizzazione territoriale.
Al 31 dicembre 2017 sono state censite 12.848 istituzioni pubbliche, presso le quali prestano servizio 3.516.461 unità di personale, di cui 3.321.605 dipendenti (pari al 94,5% del totale). Il restante 5,5% del personale in servizio – circa 195mila unità – è rappresentato da personale non dipendente, Le politiche di contenimento della spesa pubblica e di limitazione del turnover dei dipendenti hanno determinato modifiche al livello e alla composizione dell’occupazione. Tra il 2011 e il 2017 non si registrano variazioni nel numero complessivo di dipendenti (-0,1%), ma si conferma un incremento del numero di contratti a tempo determinato (+7,3%), a fronte del calo di quasi un punto percentuale dei dipendenti a tempo indeterminato (-0,8%). Nel periodo tra il 2011-2015 si era registrato invece un calo dell’1,1% dei dipendenti pubblici, sintesi di una flessione del personale a tempo indeterminato (-1,7%, -45mila unità) e di un aumento di quello a tempo determinato (+5,1%, +10mila unità circa).
In termini di occupazione, il settore della Pa registra un calo dell’11,3% (92mila dipendenti in meno) e un aumento dell’8,5% del personale non dipendente (oltre 3mila occupati in più). Nel settore dell’Istruzione si registra un aumento di occupazione dipendente pari al 5,4% (+ 64mila) e del 67,9% per quella non dipendente (quasi 31mila unità in più), quest’ultima concentrata nel comparto universitario. Negli ultimi due anni (2015-2017) si colgono i segnali di una ripresa dell’occupazione dipendente, aumentata complessivamente dell’1,1% (+0,9% per il tempo indeterminato e +2,2% per quello a termine). L’analisi per attività economica prevalente delle unità locali evidenzia, in un contesto di riduzione complessiva di oltre 3.500 di esse (-3,2%), dinamiche differenti tra i diversi settori: per le attività proprie del settore economico della Pa e della Sanità si rilevano flessioni più intense (rispettivamente -6,4% e -4,2%).
Per quanto riguarda la digitalizzazione, nel 2017 la quasi totalità delle istituzioni pubbliche ha utilizzato il web per la gestione dei dati e l’erogazione dei propri servizi (87,9%), tecnologia il cui utilizzo è ormai consolidato in tutte le realtà organizzative, con lievi ritardi tra i Comuni (87,4%), le Comunità montane e le unioni dei comuni (85,8%), gli Enti pubblici non economici (89,5%). Più contenuto, ma comunque significativo, è l’utilizzo dei servizi di cloud computing (30,5%), mentre sembrano ancora poco sfruttate, rispetto alle possibilità di impiego, le applicazioni mobile (19,4%), soprattutto considerando che il 41,9% delle istituzioni utilizza i social media nelle interazioni con gli utenti.
Sembrano poco diffuse infine le tecnologie più avanzate: nel 2017 il 5,9% delle istituzioni pubbliche ha analizzato big data e il 4,6% ha impiegato la tecnologia Internet of Thing – Iot. Sono le Università pubbliche a presentare un livello di digitalizzazione più ampio e completo rispetto alle diverse tecnologie: tutte o quasi tutte utilizzano il web o i social media (rispettivamente il 100% e il 97,2%), l’84,5% si serve di servizi di cloud computing e il 73,2% di applicazioni mobile. Un quarto delle università pubbliche impiega inoltre la tecnologia Iot, anche se in termini di analisi dei big data (35,2%) è superata dagli organi centrali dello Stato (39,4%).