Il bollettino economico pubblicato dalla Banca d’Italia lo scorso aprile sembra un vero bollettino di guerra, che commenta la desolazione con cui ci si guarda intorno passeggiando per le nostre città, per quanto sia consentito dall’allentamento delle misure di contenimento. Il lockdown ha certamente limitato il contagio, ma – come c’era da aspettarsi – ha messo in ginocchio interi settori, soprattutto ricettivi e della ristorazione, dei viaggi e trasporti, dei servizi ricreativi, culturali e personali e del commercio al dettaglio (non alimentare), che genera circa il 10% del valore aggiunto nazionale; oltre a una forte contrazione della domanda in queste attività produttive.
Dal mese di marzo sono stati bloccati tutti i settori dell’economia definiti non essenziali, che interessano circa il 28% del valore aggiunto. Oltre a ciò, sull’offerta complessiva di tutti i comparti gravano gli ostacoli nell’approvvigionamento di beni e servizi intermedi sui mercati interni e internazionali, per effetto della restrizione della mobilità e, naturalmente, il grande calo di manodopera. A titolo esemplificativo, a fine marzo, i consumi di gas per uso industriale sono diminuiti del 30% rispetto a un anno fa e i consumi elettrici si sono ridotti del 20%, mentre il traffico autostradale è progressivamente diminuito fino a raggiungere livelli inferiori di circa l’80% rispetto all’inizio di aprile 2019.
Nel terziario le misure di contenimento hanno azzerato il fatturato di gran parte del commercio al dettaglio non alimentare, di alberghi, bar e ristoranti e delle aziende operanti nel settore turistico. I servizi di alloggio e ristorazione, tra i più colpiti dall’epidemia, producono quasi il 4% del valore aggiunto e impiegano circa 1,6 milioni di persone (6,5% degli occupati totali). Se nel primo trimestre l’accesso generalizzato alla Cassa integrazione ha senz’altro contribuito a contenere l’impatto dell’emergenza sanitaria sugli occupati, è possibile che il mancato rinnovo dei contratti a termine accresca la disoccupazione nel secondo trimestre, come pare già di vedere dai dati regionali relativi alle comunicazioni obbligatorie, che dimostrano, dal 23 febbraio a metà aprile, una riduzione degli occupati in Veneto e Toscana (rispettivamente -46.500 e -43.000), dove i lavoratori stagionali a termine sono più diffusi, rispetto al Piemonte (-21.100).
Secondo l’indagine trimestrale sulle aspettative di inflazione e crescita, condotta dalla Banca d’Italia su un campione di 800 imprese di industria e servizi, circa il 65% delle imprese dell’industria in senso stretto e dei servizi ha già registrato contrazioni di attività, mentre l’85% prevede un andamento negativo nel secondo trimestre dell’anno. Per la maggior parte delle aziende, soprattutto di servizi, il virus si trasmetterà all’economia soprattutto attraverso una flessione consistente della domanda interna, mentre oltre il 40% delle imprese, principalmente industriali, segnalano timori legati al calo della domanda estera.
Le difficoltà logistiche legate all’approvvigionamento e alla carenza di manodopera completano il quadro creando un clima di sfiducia negli investimenti pari ai livelli minimi toccati in occasione della crisi finanziaria del 2008 e del debito sovrano del 2012 (-60%); l’andamento degli investimenti per il 2020 secondo le attese delle imprese per il totale economia è sceso a -20% (a fine 2019 si attestava intorno a +10%).
Il successivo recupero dell’attività interna – conclude il bollettino economico – dipenderà da un insieme di fattori: dalle ripercussioni sulla fiducia e sulle decisioni di spesa dei cittadini e di investimento delle imprese; dall’andamento della propensione al risparmio delle famiglie; dalla capacità delle imprese di restare sul mercato nonostante le perdite subite in questa fase di arresto. Mentre il settore manifatturiero potrà recuperare verosimilmente parte della produzione bruciata dalle misure di contenimento, lo stesso non si potrà dire del settore dei servizi.
Sono stati avviati interventi straordinari per mitigare l’impatto sanitario, economico e sociale della pandemia, a sostegno delle infrastrutture sanitarie, dei redditi delle famiglie e della liquidità delle imprese colpite dalla crisi. Gli istituti centrali hanno attivato politiche monetarie espansive per contrastare l’elevata volatilità dei mercati finanziari, proteggere il debito sovrano e impedire eccessive contrazioni del credito. Naturalmente, la reazione sarà tanto più efficace, quanto più coordinata a livello internazionale, ma, viste le recenti accuse degli Usa alla Cina – con minacce risarcitorie – e la sentenza della Corte Costituzionale tedesca sull’operato della Bce, direi che si parte in impervia salita.
È bene avere presente il quadro complessivo prima di varare misure di rilancio dell’economia, non potendosi limitare a finanziare sussidi o incentivi fiscali, pur necessari; anche per non sciupare i soldi, europei o italiani, a prestito o a fondo perso che siano.