Parlare di auto in questo momento è assolutamente riduttivo, ma può essere utile perché questo settore è talmente globalizzato e interconnesso che possiamo usarlo come una sorta di specchio del Paese e del mondo, o meglio di quel vecchio mondo che produce qualcosa di materiale, fatto di fornitori, fabbriche, logistica, venditori e clienti.



I dati sono brutali. Le vendite di auto nuove nel mese di marzo sono crollate del 52% nell’Unione europea, in Gran Bretagna e nei paesi dell’Associazione europea di libero scambio (Efta), arrivando a quota 853.077 veicoli. La causa è naturalmente la quarantena che ha impedito l’apertura degli autosaloni e la possibilità di uscire di casa dei potenziali clienti. Per questo il calo delle immatricolazioni, pur riguardando tutti i mercati europei, è più vistoso in Italia (meno 85%) dove il lockdown è partito prima, in Francia (meno 72%) e in Spagna (meno 69%). Meno distruttivo, ma comunque drammatico, il crollo delle vendite in Germania (meno 38%) e nel Regno Unito (meno 44%), l’ultima nazione ad adottare misure restrittive della libertà personale.



Le vendite continentali riflettono il radicamento dei marchi nei vari Paesi: quelle del Gruppo Volkswagen sono diminuite del 44% a marzo, mentre il Gruppo Renault e il Gruppo PSA hanno registrato un calo rispettivamente del 64% e del 67% e le immatricolazioni del Gruppo Fca sono scese del 74%.

Aprile andrà anche peggio, almeno in Italia. All’estero, invece, si stanno muovendo, cercano, con tutte le precauzioni del caso, di disegnare un percorso di ripresa. Il Governo tedesco ha annunciato che i concessionari del Paese potranno riprendere a vendere auto a partire da lunedì. Lo stesso giorno ripartirà la produzione di Volvo e di Audi in Germania, in Svezia e in Belgio, un Paese che ha una percentuale di morti e di contagiati in rapporto alla popolazione più alta dell’Italia. La stessa cosa farà Volkswagen in alcuni stabilimenti in Germania e in Slovacchia, mentre Seat riprenderà a lavorare a Barcellona il 27 insieme alla maggior parte delle aziende europee.



La ripresa della produzione Fca in Italia, invece, sembra sia stato rinviata a lunedì 4 maggio, dopo che il Governo ha esteso il blocco nazionale, e dei concessionari non se ne sente neanche parlare. Produrre e dare lavoro alle persone non è una priorità per il nostro Governo impegnato a lanciare  messaggi il più delle volte contraddittori, mentre le aziende rischiano di sparire. Intanto che in Svizzera, Germania, Spagna e Francia i prestiti garantiti dallo Stato sono già arrivati sui conti correnti delle piccole e grandi imprese, in Italia gli esperti stanno ancora cercando di capire le oltre 40 pagine del Decreto liquidità, per il quale, tra le altre cose, è stato stanziato poco o nulla.

Se gestire l’emergenza sembra essere un’impresa ardua per coloro che lo stanno facendo, spaventa ancora di più il ritorno alla normalità. Non riusciamo a pensare alle file fuori dai concessionari dove si potrà entrare uno alla volta con le auto in esposizione da sanificare ogni volta che qualcuno ci si è è seduto dentro. E facciamo fatica a immaginare, viste le a volte ridicole multe comminate in questi giorni per un’uscita ingiustificata, i rischi che correranno gli esercizi commerciali, una volta riaperti, per sanzioni altrettanto cervellotiche.

Tanto vale rimandare l’acquisto a un momento migliore per i clienti o tenere chiusi gli autosaloni e provare a prendere il reddito di cittadinanza per i concessionari. Possibile che dopo due mesi non si sia validato in Italia un test sierologico per scoprire chi è stato malato senza saperlo, ha gli anticorpi e può tornare a lavorare senza grossi problemi? In Germania i test di questo tipo sono già partiti dopo Pasqua. Perché nonostante il lockdown stretto ci sono ancora migliaia di nuovi positivi ogni giorno? Quanto questo numero è significativo? Colpa della vita sociale nei condomini, come dice uno dei tanti virologi a cui abbiamo affidato il Paese in questo periodo? Perché la Spagna sta tentando di riaprire tutto nonostante abbia dei dati peggiori dei nostri ogni  giorno?

Mascherine sì, mascherine no, mascherine forse. La netta impressione è che in Italia si navighi a vista, che si sappia poco o nulla e che si faccia altrettanto.

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