L’Italia, si sa, non è più un Paese per giovani. Il guaio è che è decisamente diventato un Paese per vecchi. Di più, a leggere l’ultimo numero della Rivista di Politica Economica di Confindustria – presentato in Luiss in occasione dei suoi 110 anni – è stato il primo Paese in Europa a inaugurare quello che passa sotto il nome di capovolgimento della popolazione: il sorpasso di chi ha più di 65 anni su chi ne ha meno di 15 anni.
La tabella a pagina 15 è impietosa: il capovolgimento avviene già nel 1991 quando gli anziani diventano il 15,5 per cento della popolazione e i giovani si attestano al 15,4 per cento. Le percentuali del 1961, per dare il senso della progressione, erano 9,5 (anziani) e 24,5 (giovani). Nel 2020 la tendenza prosegue inesorabile: i giovani scendono al 13 per cento e gli anziani salgono al 23,2 per cento. Tra pochi anni i primi saranno un terzo dei secondi.
Le ragioni sono tante e vengono da lontano com’è puntualmente spiegato della Rivista che, diretta da Stefano Manzocchi, ospita contributi di alcuni dei più quotati esperti della materia riguardata sotto tutti i possibili aspetti: economici, sociali, politici. Un Paese che invecchia così tanto e così in fretta è un Paese che s’indebolisce molto e che possiede sempre meno energie per reagire alle sfide della modernità e della natura.
Anche Grecia, Portogallo, Spagna, Bulgaria, Germania e Francia – per restare in Europa – hanno subito il fatidico capovolgimento. Ma con molti anni di ritardo rispetto all’Italia e con tassi di fecondità meno drammatici dei nostri a rallentarne il processo: con la sola eccezione della Spagna, l’Italia mostra infatti il più basso tasso di sostituzione dei figli: 1,27 nel 2019 contro il 2,01 necessario a mantenere inalterata la quantità di popolazione.
Non è certo di conforto constatare che nessun Paese europeo raggiunge la soglia salvifica del 2,01 per cento e che è l’intero Continente, dunque, a perdere vigore per avviarsi a un doloroso declino se non si troveranno le ragioni per un’inversione di rotta che, considerata la natura del fenomeno, non potrà che sortire effetti a lungo e lunghissimo tempo. I flussi migratori non sono tali da compensare denatalità e conseguente invecchiamento.
Contrariamente a quanto si possa pensare, negli ultimi anni si assiste in Italia anche a una mutazione degli andamenti territoriali: al Nord e al Centro si fanno oggi più figli che al Sud. Il che vuol dire che le conseguenze della globalizzazione, le incertezze figlie delle diverse crisi che abbiamo conosciuto, l’impatto della trasformazione tecnologica e delle transizioni in atto ha colpito più duramente le famiglie meridionali che si sono chiuse in difesa.
È difficile riassumere in poche righe le ricche argomentazioni del volume sulle conseguenze di questo negato ricambio generazionale e le possibili risposte che la politica e la società potrebbero fornire. Certo è che l’invecchiamento della popolazione produce effetti profondi e duraturi sull’economia che potrebbe finire nello stallo della cosiddetta stagnazione secolare se non addirittura sfociare in stagflazione qualora l’inflazione dovesse radicarsi.
In che modo i provvedimenti in favore della famiglia compresi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) potranno influenzare sentimenti e comportamenti degli italiani restituendo loro fiducia, condizioni e voglia di procreare è difficile dire. Di sicuro se non ci saranno cambiamenti rilevanti nella composizione demografica avremo un problema assistenziale e pensionistico di dimensioni gigantesche.
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