Passiamo quasi due ore al giorno collegati alla rete. Siamo il Paese con il più alto rapporto fra popolazione e telefonini di ultima generazione. I social hanno già influito sulle ultime campagne elettorali. Abbiamo quindi molti segnali che ci fanno ritenere un Paese “avanzato” dal punto di vista della diffusione delle tecnologie digitali. Arriva invece una ricerca dell’Ocse che boccia in modo inequivocabile il nostro Paese, visto che risulta fra gli ultimi al mondo: è terzultimo davanti solo a Cile e Turchia per capacità di utilizzo delle nuove tecnologie.



Nell’ambito del grande lavoro di ricerca che l’Ocse sta dedicando alla delineazione dei cambiamenti che caratterizzeranno il lavoro del futuro è stata pubblicata la ricerca dedicata alle competenze professionali e personali necessarie per poter sfruttare al massimo le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie. Alla base della capacità di sfruttare le potenzialità offerte dall’applicazione di internet alle nuove tecnologie produttive occorrono competenze di lettura, scrittura e calcolo e sono queste che difettano nel nostro Paese, collocandolo quindi in fondo alla classifica di quelli capaci di utilizzare le potenzialità di crescita offerte dalla trasformazione tecnologica in corso.



Ovviamente i dati sono molto diversificati nelle fasce di età coinvolte. Se nella media generale solo il 3,2% dei giovani non ha le necessarie competenze di base per affrontare internet come tecnologia produttiva (ma la media Ocse fra i giovani è il 2,3%), fra gli italiani adulti ben 1 ogni 3 manca della formazione di base in grado di fargli acquisire le competenze necessarie. Complessivamente solo un quinto (21%) della popolazione italiana fra i 15 e i 65 anni ha competenze che assicurano il buon livello di abilità richiesto dal salto tecnologico che Itc, intelligenza artificiale e robotizzazione stanno introducendo nei diversi settori produttivi e nelle professioni.



Questi dati contraddicono l’apparenza dovuta al nostro essere sempre connessi. Ciò è tanto più dimostrato dal fatto che l’uso di internet interessa certo il 71% degli italiani fra i 16 e i 74 anni (la media Ocse è però dell’85%). Il nostro problema è però che abbiamo un uso minimale delle capacità offerte da internet. Si potrebbe dire che, con l’esclusione del 36% degli accessi, i due terzi degli italiani hanno un rapporto solo passivo con gli strumenti offerti e non sono in grado di fare un uso complesso e diversificato delle potenzialità date dalla rete.

Ovviamente questi risultati inducono a fare valutazioni sia sulle necessità di incrementare la formazione iniziale nel corso dei percorsi scolastici, sia la formazione degli adulti per permettere di rimanere impegnati nel lavoro con una occupabilità capace di acquisire tutte le competenze necessarie. Al fine di avere percorsi scolastici meglio orientati alla preparazione nell’uso delle nuove tecnologie servirà investire nell’applicazione delle tecnologie innovative direttamente nei percorsi di istruzione. Vanno coordinati e incrementati gli investimenti nelle scuole e nel materiale didattico con quelli dedicati alla formazione dei docenti. Per loro si tratta di recuperare il ritardo in conoscenza e uso delle nuove tecnologie che hanno rispetto ai laureati impegnati in altri settori.

In questa necessità di nuova formazione gli insegnanti sono però appaiati agli altri lavoratori. Nel nostro Paese l’intensità dell’uso di internet nel lavoro è pari allo 0,2% contro la media Ocse dello 0,51%. Se vogliamo che il “capitale umano” partecipi pienamente alla fase di trasformazione in corso, e anzi sia capace di sfruttare l’occasione offerta per aumentare il proprio valore, c’è bisogno di grandi investimenti di formazione.

L’Ocse indica che il 14% dei lavoratori italiani ha la necessità di investire un anno in formazione per assicurare un’adeguata acquisizione delle competenze necessarie. A questi è da aggiungere un altro 4% che richiede un triennio di formazione per potersi dire in grado di non perdere l’occasione di inserirsi appieno nei nuovi lavori. Riuscire ad assicurare una piena partecipazione dei lavoratori ai cambiamenti in corso è indispensabile per recuperare i ritardi della nostra economia.

Come si ripete spesso, la nostra uscita dalla crisi del 2008 è caratterizzata da una debolezza nella produttività. Il nostro sistema complessivo appare caratterizzato da una bassa produttività che penalizza anche il grande contributo positivo che l’industria manifatturiera capace di esportare ha dato per arrivare ad avere di nuovo un segno positivo davanti al Pil annuo. Ora è certo che l’applicazione delle nuove tecnologie ha un impatto positivo nella crescita della produttività complessiva del sistema a partire dalla rivoluzione nei sistemi di produzione industriale e nei servizi. Per questo è per il nostro Paese ancora più importante investire oggi nella formazione dei lavoratori per permettere alle imprese in tutti i settori di operare velocemente il salto tecnologico possibile.

L’Ocse offre anche una stima per quanto servirebbe a recuperare il gap che ci caratterizza. Prendendo i dati rilevati sugli skills rilevati si va da un massimo del 5,8% a un minimo dell’1,5% del Pil da investire per la formazione dei lavoratori implicati. Il minimo è dato dai lavori messi a rischio dall’applicazione delle nuove tecnologie dell’automazione, mentre il dato maggiore è richiesto qualora si voglia investire per ottenere uno sviluppo di tutto il sistema, sfruttando quindi a fondo le nuove tecnologie per un recupero di produttività complessivo.

Il sistema delle imprese e le organizzazioni sindacali hanno davanti un enorme campo di sperimentazione per definire un nuovo patto per lo sviluppo del Paese che superi le paure del futuro per tutelare invece i lavoratori e il sistema-Paese verso i lavori del futuro.