La manifattura italiana è al centro di una complessa fase di transizione post-pandemia, tra strozzature delle filiere globali, crisi energetica ed effetti recessivi innescati dalla guerra in Ucraina. Sulle imprese pesa l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, il rallentamento dell’economia cinese e la difficoltà di reperimento della manodopera specializzata. Ciò nonostante, si intravedono alcuni segnali statistici di reattività del sistema del made in Italy.
Sui mercati dominano le tensioni sui prezzi. Ad aprile si registra una crescita del 13,8% dei prezzi alla produzione nel manifatturiero non energetico, in accelerazione rispetto al +12,6% di marzo. A maggio il tasso di inflazione sale al 6,9%, sotto la spinta dei prezzi dei beni energetici, per i quali rischia di ampliarsi il gap competitivo. Secondo l’ultima rilevazione di Eurostat sull’inflazione armonizzata, ad aprile il prezzo dell’energia elettrica sale del 68,6% in Italia, un ritmo più che doppio della media dell’Eurozona (+32,2%), mentre in Germania sale del 19,3% e in Francia l’aumento si ferma al 6,9%. Sui costi per imprese e famiglie grava una tassazione energetica che nel nostro Paese è del 18% superiore a quella della Francia e del 68% superiore a quella della Germania, contribuendo a uno spread fiscale tra Italia ed Eurozona che quest’anno sale a 1,8 punti di Pil.
Per la manifattura italiana – un sistema di 372 mila imprese con 3,8 milioni di addetti, i tre quarti (75,6%) occupati in micro, piccole e medie imprese -, le tensioni sui costi si associano al difficile reperimento di materiali, che nel primo trimestre 2022 ostacola quasi una impresa manifatturiera su quattro (22,7%), delineando gli effetti delle persistenti strozzature nelle filiere globali, aggravate dai lockdown in Cina.
L’economia cinese sta vistosamente decelerando. Per quest’anno, nelle ultime previsioni del Fondo monetario internazionale, crescerà del 4,4%: un tasso così basso non si registrava dal 1990. Ad aprile le vendite del made in Italy in Cina scendono del 15,9% su base annua e nei primi quattro mesi del 2022 sono del 3% inferiori rispetto allo stesso periodo del 2021, mentre nel totale dei Paesi extra Ue l’export aumenta del 18,4%. Sono tangibili gli effetti della guerra: l’export verso la Russia ad aprile si dimezza (-48,4%) e nei primi quattro mesi del 2022 scende del 19,3%.
Segnali di resistenza (per ora) – Nonostante i numerosi fattori critici, l’analisi dei più recenti indicatori congiunturali mette in luce, nella primo scorcio del 2022, segnali di reazione delle imprese italiane calate nella competizione internazionale. Le incertezze connesse con il conflitto in Ucraina potrebbero, però, compromettere il consolidamento dei risultati che ora andiamo a descrivere.
Nel primo trimestre 2022 il volume del fatturato manifatturiero sale dell’1% rispetto al trimestre precedente e del 5,7% sullo stesso periodo dell’anno precedente.
La produzione manifatturiera, sempre nel primo trimestre di quest’anno, in Italia sale dell’1,1% rispetto a un anno prima, come in Francia e in controtendenza rispetto al calo dell’1,2% della Germania. Dopo un complicato biennio – iniziato con la pandemia, proseguito con la crisi energetica e le strozzature nelle catene di approvvigionamento globali, e terminato con lo scoppio della guerra in Ucraina – la manifattura italiana ha più che recuperato (+0,8%) i livelli di attività del 2019, a fronte del ritardo del 5,3% della Francia e del 5,7% della Germania.
Sul mercato del lavoro, l’analisi dei dati pubblicati nell’ultima nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dalla Banca d’Italia e dall’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro evidenzia che nel primo quadrimestre del 2022 le attivazioni nette (saldo tra attivazioni e cessazioni di rapporti di lavoro) nella manifattura aumentano del 19,3% su base annua, pur con un livello che rimane del 6,8% inferiore a quello del primo quadrimestre del 2019. Aumenta il peso del lavoro stabile: la crescita di 9 mila posizioni lavorative è la combinazione di una riduzione di 9 mila a tempo determinato e l’aumento di 18 mila posizioni a tempo indeterminato e apprendistato. Rimane elevata la difficoltà di reperimento di operai specializzati, che a maggio 2022 è del 47,7%, in aumento di 9 punti rispetto un anno prima.
Il confronto internazionale sui dati del commercio internazionale forniti da Eurostat evidenzia che nel primo trimestre 2022 le vendite all’estero del made in Italy salgono del 22,8%, un ritmo più accentuato rispetto al +19,8% della Francia e più che doppio rispetto al +10,7% della Germania. La crescita dell’export si accompagna a un miglioramento della qualità intrinseca dei prodotti, con i valori medi unitari delle esportazioni (esclusa l’energia) che nel primo trimestre del 2022 crescono del 15,5% su base annua, a fronte dell’aumento del 10,8% dei prezzi all’esportazione.
Un prolungamento del conflitto nel cuore dell’Europa e l’acuirsi della crisi energetica potrebbero compromettere gli eccellenti risultati della manifattura made in Italy conseguiti negli ultimi anni. Tra il 2016 e il 2021 è proprio l’Italia a registrare la maggiore crescita del volume di valore aggiunto manifatturiero, pari al +5,1%, a fronte del limitato +0,7% in Francia e del calo del 3% registrato in Germania. Alla migliore performance dell’Italia ha contribuito una maggiore resilienza nella pandemia, con il valore aggiunto che nel 2021 recupera interamente (+0,3%) il livello del 2019, a fronte del ritardo del 5,1% della Francia e del 5,8% della Germania.
La maggiore creazione di valore è stata conseguita con un aumento di efficienza delle imprese italiane, nonostante le difficili condizioni di contesto: nell’arco del quinquennio in esame, nonostante gli effetti disastrosi del contagio mondiale da Covid-19, la produttività del lavoro della manifattura in Italia, valutata con l’indicatore del valore aggiunto reale per ora lavorata, sale del 5,2%, a fronte del +1,3% della Francia e del +0,4% della Germania. La performance della produttività in Italia si associa a una maggiore di diffusione di micro e piccole imprese e, conseguentemente, ad una più bassa dimensione media (9 addetti medi per impresa) rispetto a Germania (media di 34 addetti) e Francia (media di 15 addetti).
All’aumento di efficienza delle imprese ha contributo il dinamismo degli investimenti in macchinari, sostenuto dal credito di imposta per investimenti in beni strumentali nuovi. L’esame delle previsioni macroeconomiche della Commissione europea pubblicate a metà maggio evidenzia che per questa componente di domanda l’Italia è l’unico tra i maggiori paesi Ue che già nel 2021 recupera i livelli pre-pandemia; nel più lungo periodo, tra il 2015 e il 2022, gli investimenti in macchinari salgono di limitato 3,8% in Germania, aumentano dell’11,5% in Francia, un ritmo di crescita che raddoppia in Italia, arrivando al +23,6%.
Gli effetti dell’introduzione di nuovi macchinari sono molteplici, fortemente orientati alla sostenibilità: oltre all’aumento della produttività, sale la propensione ad innovare delle imprese che investono e si rafforza la qualità e quantità della domanda di lavoro; in parallelo le nuove matrici tecnologiche aumentano l’efficienza energetica, riducendo la domanda di energia e le emissioni di CO2.
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