Le elezioni europee sono alle spalle, ma la campagna elettorale “permanente” che caratterizza ormai da molto (troppo) tempo il nostro Paese sembra non essere ancora terminata. Avremo, a breve, la crisi politica del “Governo del cambiamento”? Se così sarà in quali condizioni il Paese “reale” sarà chiamato a scegliere la guida per gli anni a venire?
Un dato certamente utile per un’analisi dello stato di salute del Paese è quello, fondamentale, del lavoro che c’è, che manca o che vorremmo. Un quadro abbastanza confortante ce lo offre l’ultimo rapporto dell’Istat su occupati e disoccupati pubblicato non più tardi di ieri. Innanzitutto si registra come dopo il significativo aumento di occupazione registrato a marzo, ad aprile 2019 (mese a cui si riferisce il rapporto) la stima degli occupati risulti, nonostante tutto, sostanzialmente stabile rispetto al mese precedente e anche il tasso di occupazione rimanga invariato al 58,8%.
Una sostanziale stabilità che è sintesi di un calo, ahimè, tra i “giovani” (almeno in Italia) under 35 (-52 mila) e un aumento nelle altre classi di età, concentrato prevalentemente tra gli over 50 (+46 mila), che sembrano reggere, quasi inspiegabilmente, la “crisi” meglio dei giovani. Si registra poi una lieve crescita dei lavoratori dipendenti sia “a tutele crescenti” che a termine (+11 mila per entrambe le componenti), compensata da una diminuzione degli autonomi (-24 mila).
Le persone in cerca di occupazione sono, altresì, in leggerissimo aumento (+0,2%, pari a +5 mila). Una tendenza, questa, determinata in particolare dalle donne e concentrata in modo più significativo tra le under 25 con buona pace di tutte le parole spese sul supporto alle famiglie, alla genitorialità, ai giovani ma anche sulla responsabilità “sociale” delle imprese. Tutto ciò premesso il nostro tasso di disoccupazione è stabile al 10,2%.
Se, addirittura, ampliano il raggio di analisi agli ultimi 12 mesi notiamo come la crescita degli occupati si accompagna a un calo dei disoccupati (-7,1%, pari a -203 mila unità) e a un lieve aumento degli inattivi (+0,1%, +17 mila), ossia di persone sfiduciate che hanno smesso, non solo per colpa del reddito di cittadinanza, di cercare attivamente un lavoro.
Il quadro, tutt’altro che ideale, racconta di un Paese “fermo” incapace di reagire e di ripartire, ma che, ancora, non fa passi significativi indietro. Da questa presa d’atto dovrebbe partire, insomma, una eventuale “fase 2” del governo Conte-Salvini o la scrittura dei programmi elettorali dell’ennesima campagna elettorale da vivere almeno, perlomeno per chi se lo può permettere, sotto l’ombrellone bevendo un fresco “cocktail” (sicuramente meglio dei pop corn).