La tempesta perfetta è in arrivo. Dopo il dato catastrofico del Pil del primo trimestre, in calo del 4,8%, tutto è sembrato continuare come prima, sia a livello economico che politico. Soprattutto i partiti hanno indotto il panico per il virus, ma nulla dicono, né si allarmano per il dato del Pil. Cerchiamo allora di spiegare nel dettaglio. Il calo del Pil è dovuto totalmente alla quarantena. Possiamo immaginare che senza quarantena il Pil sarebbe stato positivo di qualche decimale, quindi il calo dovuto alla quarantena è di circa il 5% tondo. Ma la quarantena è iniziata gradualmente e solo a partire dall’11 marzo, quindi riguardo quel trimestre finito il 31 marzo abbiamo appena tre settimane di quarantena che hanno inciso sul Pil. Tre settimane su 12 in cui il Pil è calato del 5%, quindi moltiplicando il conto salato per quattro abbiamo un calo totale del 20%, che è una stima approssimativa che lascia intendere cosa accade nel periodo di quarantena.
Io ritengo questa stima non solo parziale, ma anche stimata per difetto. Infatti, nel periodo di quarantena molti dipendenti statali sono stati a casa e alla fine hanno preso lo stipendio. Molti altri dipendenti di aziende private si sono trovati nella stessa condizione, con grave danno economico per le aziende. E pure quelle non possono andare avanti così: infatti, molte hanno attivato la cassa integrazione.
Ora è arrivato un altro dato, che ci aiuta a inquadrare meglio la situazione: a marzo la produzione industriale è calata del 29% rispetto a un anno prima. Questo è il trend reale che potrebbe avere il Pil, altro che l’8% stimato nel Def recentemente approvato dal Governo o il 9,5% previsto dall’Ue. Certo, stiamo uscendo dalla quarantena e molte aziende stanno riaprendo. Ma in quali condizioni? A quali costi? Con quali vincoli che limiteranno la capacità produttiva? Di quanto sarà limitata la capacità produttiva? E infine la domanda cruciale, più gravida di conseguenze? Quante di esse riapriranno?
Infatti, molte di queste riescono a operare grazie ai flussi di cassa. Ma se questi si interrompono, con la crisi di liquidità in atto, come faranno a riaprire? Con tutti i costi vivi da affrontare e con quelli già affrontati (stipendi, mutui, bollette, affitti, ecc.), dove potranno reperire la liquidità necessaria per riaprire? Con i 400 miliardi che al Governo non costano nulla, visto che sono debiti privati? E chi avrà il coraggio di fare nuovi debiti, con la situazione drammatica dell’economia che si prospetta nei prossimi mesi, fatta di costi aggiuntivi per la sanificazione e minori incassi a causa dei nuovi vincoli imposti a tutte le attività?
È sufficiente navigare un po’ sui social per rendersi conto del fiume di dichiarazioni di commercianti e partite Iva che affermano disperati di essere costretti a chiudere la propria attività, per rendersi conto del disastro in atto. E la chiusura di tutte queste attività porterà a dei crolli di fatturazione delle altre che tenteranno di rimanere aperte, con un effetto slavina dalle conseguenze drammatiche, sia dal punto di vista dell’economia nazionale, sia dal punto di vista dei conti pubblici.
Per questo affermo che una caduta del Pil a fine anno tra il 20% e il 30% è del tutto plausibile. In queste condizioni, la richiesta di fondi al Mes sarà una strada obbligata, se esisterà più il Mes. Infatti, ora sull’intera Unione europea incombe pure il macigno della recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca, che ha trovato i vari Qe della Bce non conformi ai criteri tedeschi di proporzionalità degli interventi (i Qe sono serviti soprattutto a proteggere i titoli di Stato di alcune nazioni dalla speculazione, e tra questi c’è in primo piano l’Italia). E ha dato alla Bce tre mesi di tempo per giustificare la propria azione, dopo di che obbligherà le istituzioni tedesche, tra cui la banca centrale, a rispettare la sentenza e quindi a votare contro ogni replica del Qe. Allo stato attuale, se un ministro delle Finanze tedesco votasse a favore del Mes per aiutare l’Italia potrebbe rischiare un’incriminazione nel suo Paese.
Il cuore del problema è che la solidarietà, nella mentalità teutonica, non è prevista come istituzione. L’unica soluzione, nella loro mentalità di marca tipicamente luterana, è la competitività. Il cuore del problema è che la competitività non funziona e non funzionerà neanche per loro. Ma loro sono fatti così, una volta che hanno assunto un piano, lo portano avanti costi quello che costi, fino all’autolesionismo. Ora è la Merkel a trovarsi in grossa difficoltà: ha imboccato un vicolo cieco e lo ha percorso, con ostinazione, fino in fondo. Ora si trova di fronte alla strada chiusa e tornare indietro politicamente equivale alla propria fine.
Ma è tutta l’Europa, che ha seguito l’indirizzo tedesco, a trovarsi in un vicolo cieco. Ora la palla passa ai Governi. E non c’è da stare allegri nel vedere chi ci governa. Per capire quanto sia grottesca la situazione, occorre considerare che il Mes è una società costituita dai ministri delle finanze con sede in Lussemburgo. Paradossalmente, l’Europa potrebbe sciogliersi ma il Mes sarebbe ancora operativo, come un cappio al collo degli italiani per i prossimi anni.