Volendo utilizzare un termine sintetico per analizzare i fenomeni che stanno investendo il mercato del lavoro del nostro Paese, e più in generale dei Paesi più avanzati, il più appropriato sarebbe indubbiamente “cambiamento strutturale”; “strutturale” in quanto ciò che sta accadendo non solo permane, ma tende ad accentuarsi. Da diversi anni stiamo assistendo a un cambiamento che riguarda ambiti molteplici del mercato del lavoro quali la tipologia contrattuale (la progressiva crescita di forme contrattuali flessibili e la conseguente riduzione dei tradizionali contratti a tempo indeterminato), il cambiamento nella domanda di competenze richieste ai lavoratori, le caratteristiche delle professioni, con la nascita di nuovi lavori e la trasformazione o la scomparsa di quelli esistenti. In questa traiettoria di cambiamento si inserisce con “forza” la pandemia di Covid-19 e in particolare le sue ripercussioni sul mercato del lavoro, sul lavoro e più in generale sugli assetti economico/sociali. 



Nonostante l’estrema incertezza che caratterizza sia l’evoluzione epidemiologica che le conseguenze economiche, possiamo dire, in linea generale, che lo shock Covid-19 avrà un impatto sui grandi cambiamenti in atto, in particolare sui fenomeni della digitalizzazione e della globalizzazione. Il primo sarà certamente accentuato, basta osservare la forte enfasi sull’apprendimento a distanza e sullo smart working, la crescente pervasività nella domanda della maggior parte delle professioni delle competenze digitali e la richiesta sempre più elevata di professionalità specifiche legate al digitale quali l’analista di big data, l’esperto di Intelligenza artificiale, l’analista software, l’esperto di cybersecurity, ecc. La globalizzazione sembra invece destinata a un ridimensionamento. Infatti, sia i produttori che i decisori politici, riconoscendo la vulnerabilità di questo modello di fronte a shock globali, stanno riflettendo (e in diversi casi agendo) per riportare la “catena di produzione” su scala maggiormente locale. Questo fenomeno potrà essere molto d’impatto in alcuni settori con conseguenti ricadute sulla domanda di competenze.



Oltre all’impatto sui grandi cambiamenti possiamo cercare di analizzare gli effetti e le implicazioni sul mercato del lavoro, generati dallo shock pandemico di breve periodo e in particolare dal prolungato lockdown delle attività produttive. Per fare questo, visto il contesto non facile e inoltre condizionato e di fatto “congelato” dai provvedimenti legislativi, abbiamo osservato gli annunci di lavoro che le aziende pubblicano sul web così da monitorare in tempo reale le trasformazioni che la pandemia ha sul lavoro nel contesto nazionale.

A tal fine abbiamo confrontato gli annunci di lavoro pubblicati nel periodo gennaio-ottobre 2020 con quelli dello stesso periodo del 2019, utilizzato come benchmark. In questo modo è stato possibile costruire un indicatore “OJA Gap” che quantifica la deviazione percentuale nel volume di annunci pubblicati per ogni mese con quelli del corrispondente mese del 2019.



La figura sottostante mostra l’andamento di un indice di restrizione (calcolato presso l’università di Oxford – con un valore da 0 a 100 in funzione delle politiche restrittive attuate dal Governo) e l’andamento dell’OJA Gap (Crisp – Centro di ricerca Università Milano Bicocca). Si osserva che gli annunci di lavoro hanno un picco negativo (oltre il 50% in meno rispetto al 2019) in corrispondenza con il valore massimo dell’indice di restrizione (mese di aprile 2020). Successivamente gli annunci riprendono arrivando a superare i valori del 2019 nei mesi di settembre e ottobre. 

Per dare una misura quantitativa al fenomeno si consideri che in Italia tra gennaio e ottobre sono stati analizzati circa 400.000 annunci, pari a circa 44.000 mensili che durante il lockdown sono scesi a circa 34.000. In termini cumulati lo shock pandemico ha determinato una mancata offerta sul mercato del lavoro di circa 49.000 annunci nei mesi da gennaio a ottobre.

Al di là dal mero aspetto quantitativo è interessante come sia cambiata la tipologia di offerta degli annunci durante la pandemia. Abbiamo diviso l’analisi in due sotto-periodi: il primo – shock – riferito al trimestre del lockdown (marzo, aprile e maggio) e il secondo – recovery – riferito al periodo successivo caratterizzato dal lento ritorno alla normalità. Durante il periodo di lockdown le professioni caratterizzate dal calo più vistoso degli annunci sul web sono state, comprensibilmente, quelle legate al settore del turismo e della ristorazione, in particolare le figure che operano nella fase finale del processo produttivo (baristi, camerieri), quelle legati ai trasporti aerei (assistenti di viaggio) e alla moda. Al contrario sono sensibilmente aumentati gli annunci riferiti al personale sanitario, ma anche quelli legati alle figure professionali della grande distribuzione che ha sopperito in questa fase alla chiusura dei piccoli esercizi commerciali (cassieri, addetti agli scaffali e addetti ai controlli delle vendite). È interessante notare come siano aumentati anche gli annunci riferiti alle figure del settore alimentare poste all’inizio della catena di produzione (macellai, ecc.) in cui si è riversata la maggior domanda proveniente dalla grande distribuzione.

L’analisi degli annunci del periodo successivo conferma l’impatto negativo sul settore trasporto, turismo e ristorazione e quello positivo sul settore sanitario. Al contempo crescono le offerte di lavoro dei settori legati alla ripresa in particolare all’edilizia e alle costruzioni, sostenuti da specifici interventi legislativi e dall’impiego di rilevanti fondi pubblici.

Complessivamente l’analisi degli annunci di lavoro pubblicati nel periodo successivo allo shock pandemico rivela che la ripresa tende a concentrarsi in particolare sulle figure professionali a bassa qualifica. Infatti, con l’unica eccezione del settore Informatica e Telecomunicazioni e ovviamente del settore sanitario, in tutti gli altri settori tra le figure che manifestano una qualche tendenza al recupero sono quasi del tutto assenti le figure apicali o specialistiche (dirigenti o specialisti). Questo è comprensibile alla luce della fase di elevata incertezza che caratterizza la congiuntura attuale, anche in relazione alle prospettive future post-pandemia.

È evidente che la pandemia sta incidendo significativamente sulla situazione del mercato del lavoro riducendo sia le opportunità (breve periodo), sia modificando aspetti di cambiamento strutturale (medio lungo periodo). 

Finora la maggior parte degli interventi hanno riguardato azioni di sostegno dell’occupazione per garantire reddito attraverso le diverse forme di “ammortizzatori sociali” adottate. Questa garanzia, certamente importante, è inoltre legata a politiche di blocco dei licenziamenti (prorogati fino al marzo pv) al fine di garantire un posto di lavoro. Ma rimangono evidenti due elementi: la riduzione della domanda intacca prevalentemente i giovani e coloro che hanno contratti “flessibili”, soprattutto per l’ingresso al mercato. Dall’altra parte, i cambiamenti in atto manifestano la grande esigenza di creare le più corrette condizioni per consentire le evoluzioni della domanda, soprattutto in termini di nuove competenze e skill necessarie per sostenere e consentire ripresa e sviluppo. 

Questi temi non hanno trovato finora proposte, idee e azioni ma vengono “demandate” al prossimo piano del Recovery fund. Abbiamo già fatto, purtroppo recentemente, l’esperienza di interventi “solo” di sostegno nella crisi del 2009 e non a caso siamo stati tra gli ultimi a “uscire” dalla crisi. 

Ogni crisi richiede risposte capaci di sostenere l’esistente, ma nel contempo di cogliere i cambiamenti in atto per costruire e ripartire. In questo senso occorre intervenire velocemente nel definire un piano di intervento che sappia rispondere ai cambiamenti strutturali richiesti. Servono politiche industriali chiare, investimenti in ricerca e sviluppo, programmi e attori capaci di sviluppare un grande sistema di crescita e innovazione delle competenze e conoscenze delle persone (upskilling e reskilling), ricostruire sistemi capaci di innovazione reale dei servizi al lavoro. Dobbiamo evitare il rischio di trovarci al termine della pandemia con una “ripresa” senza una nuova visione del mercato per le imprese e senza capacità di risposta alle esigenze della domanda di lavoro da parte dei lavoratori. Una situazione che penalizzerebbe duramente le persone e le imprese lasciando il nostro Paese nel lamento e nello sconforto, anziché, come auspicato, nell’affronto di una nuova fase di ripresa e sviluppo.