il lavoro ai tempi del Covid-19? Nelle sue Considerazioni finali Ignazio Visco ha preso di petto l’argomento occupazione: “La recessione avrà significative ripercussioni sul mercato del lavoro. Rispetto ad altri Paesi – ha affermato il Governatore – gli effetti sull’occupazione sono contenuti in Italia dalla sospensione dei licenziamenti e dall’ampio ricorso alla Cassa integrazione guadagni, che ha finora coinvolto circa sette milioni di lavoratori, quasi la metà dell’occupazione privata alle dipendenze. La partecipazione al mercato del lavoro è caduta di quasi 300.000 unità, scoraggiata dal peggioramento delle prospettive economiche e dalle limitazioni alla mobilità e alle attività produttive che persistono in alcuni settori. In queste condizioni il tasso di disoccupazione (sceso in marzo all’8,4 per cento, quasi un punto in meno rispetto a febbraio) restituisce – la constatazione di Visco è importante – un’immagine molto attenuata del reale impatto dell’epidemia. La caduta dell’attività economica ha ridotto le nuove opportunità di impiego, ripercuotendosi in particolare sui giovani che per la prima volta si affacciano sul mercato del lavoro, su chi è abitualmente impegnato in attività stagionali, con contratti a tempo determinato o di apprendistato. Colpisce con maggiore intensità le attività tradizionalmente svolte dai lavoratori autonomi e il lavoro irregolare, ancora troppo diffuso nel nostro Paese. Nel breve periodo gli ammortizzatori sociali contrastano l’impoverimento di ampi strati della popolazione e l’allargamento delle differenze economiche, accresciuti dalla maggiore presenza di lavoratori a basso reddito nei settori più colpiti. Limiti nella disponibilità di attività finanziarie liquide tra i nuclei familiari con i redditi più bassi possono amplificare le conseguenze dello shock, determinando un aumento significativo del numero di famiglie che non riescono a mantenere standard di vita accettabili”.
L’analisi di Visco è molto dura, come è giusto che sia; anche perché, per quanto riguarda il futuro prossimo “sappiamo di non sapere”, nel senso che non siamo in grado di prevedere quali effetti potrà produrre, tra qualche mese, “l’elemento estraneo” che ha tagliato le gambe a un’economia che già procedeva con passo incerto. Ed è proprio questo il punto: l’imprevedibilità, l’incertezza, la relativa impotenza che incombono sull’umanità al cospetto del virus. Le valutazioni di queste ore sono largamente convergenti. Nell’ultima Indagine rapida sull’andamento della produzione industriale, il Centro Studi della Confindustria (Csc) ha segnalato che in maggio la produzione industriale italiana è diminuita del 33,8% rispetto a un anno prima, dopo il – 44,3% rilevato in aprile. Nella media degli ultimi tre mesi, ovvero da quando sono state introdotte le misure di contenimento del Covid-19, il livello dell’indice destagionalizzato della produzione è inferiore del 34,2% rispetto a febbraio.
Come atteso, la fine del lockdown e, quindi, la riapertura delle attività manifatturiere che erano ancora sospese – rassicura il Csc – si è tradotta in una lenta ripartenza dell’industria, ancora soffocata da una domanda – interna ed estera – estremamente debole. Nei mesi primaverili, Pil e produzione, tuttavia, sono attesi diminuire in misura più forte rispetto a quanto osservato nel primo trimestre. Ciò si affianca, prosegue la nota, al forte peggioramento delle attese degli imprenditori manifatturieri sulla domanda nei prossimi mesi; queste condizioni da sole determinano un avvitamento che frena l’attività e incide anche sulla programmazione degli investimenti.
Molti imprenditori, inoltre, soffrono per la carenza di liquidità a causa del blocco normativo delle attività nei mesi scorsi. Per il momento, dunque, molti di loro sono costretti a navigare a vista, anche a causa di uno scenario di estrema incertezza sull’economia italiana e internazionale. In assenza di adeguati interventi a sostegno della ripresa del sistema produttivo, nel giro di pochi mesi si rischia l’esplosione di una vera e propria emergenza sociale che renderà ancora più impervia la strada verso l’uscita dall’attuale crisi economica.
In sostanza il leitmotiv è sempre lo stesso che ha intessuto le Considerazioni finali lette dal Governatore Visco: sulla scorta delle esperienze del recente passato sappiamo soltanto che il futuro è un grande punto interrogativo. E le politiche del Governo non aiutano a intravvedere una via d’uscita. “Questa politica rischia di fare più danni del Covid”, ha ribadito il neo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. “Questo è un Paese che si è abituato ad essere anestetizzato”. “Il governo ha bloccato i licenziamenti fino ad agosto. Ma il lavoro, i posti di lavoro, non si gestiscono e non si creano per decreto. Serve una strategia, una visione”, avverte Bonomi. Ma chi può permettersi di averle?
Il Governatore Visco ha avuto il merito di individuare i punti di forza sui quali il Paese può ancora contare, ma “la pandemia e la recessione aprono scenari di estrema incertezza che rendono molto difficile tratteggiare i contorni dei nuovi equilibri che si andranno a definire”. È troppo facile la soluzione che ha indicato Maurizio Landini come reazione alla possibilità denunciata da Confindustria che in autunno il Paese debba misurarsi con un milione di posti di lavoro perduti. Il leader della Cgil non si smentisce rispetto al solito “fermate il mondo. Voglio scendere” e fornisce la sua ricetta: “Dobbiamo evitarlo – spiega Landini – e ragionare sul prolungamento degli ammortizzatori sociali e del blocco dei licenziamenti: programmando poi gli investimenti, allungando le coperture per le imprese e rinviando la data dei licenziamenti. Già adesso, già in giugno, lo si può fare migliorando il decreto Rilancio nella discussione parlamentare. Non è il momento delle minacce, è il tempo in cui avere l’umiltà di fare i conti con una realtà che è andata oltre ciò che si immaginava. Si deve cambiare il modello economico e, come diceva Visco, non togliere la speranza. È l’ora in cui ognuno devi assumersi la sua responsabilità. Dobbiamo essere consapevoli. E ognuno deve fare la sua parte”. Giusto. Ma quale sarà la parte che il sindacato è disposto a svolgere?