L’invasione russa dell’Ucraina di questa notte agisce da acceleratore dei prezzi dell’energia, con pesanti effetti recessivi sull’economia mondiale. I Paesi dell’Unione europea, che con il Green Deal lanciato poco più di due anni fa si erano dati l’obiettivo di un graduale abbandono dei combustibili fossili, sono stretti nella morsa di una crisi energetica dominata dal deragliamento del prezzo del gas, le cui forniture sono messe a rischio dalla guerra in Ucraina.
Già prima dell’azione militare di questa notte, il surriscaldamento dei prezzi ha portato al ribasso delle previsioni di crescita. Lo scorso 10 febbraio la Commissione europea ha indicato un aumento del Pil per l’Italia del 4,1%, in rallentamento rispetto al +4,3% indicato a novembre. Un effetto recessivo è indotto dall’aumento della bolletta energetica, che riduce la creazione di prodotto “interno” lordo, spostandolo all'”esterno”, verso i Paesi fornitori di petrolio e gas, il primo dei quali è proprio la Russia. A fronte di un aumento dell’88,7% su base annua dei prezzi delle importazioni di petrolio greggio e gas naturale, nel 2021 si osserva un peggioramento di 16,7 miliardi di euro della bolletta energetica (saldo import-export di prodotti energetici), pari a un punto di Pil.
L’aumento della bolletta energetica sarà amplificata dalla crisi internazionale, considerata l’elevata dipendenza dalle forniture russe dell’intera Unione europea. Il tema strategico della sicurezza energetica, che si intreccia con i ritardi nell’apertura del Nord Stream 2, diventa prioritario. Secondo le valutazioni contenute nell’ultimo Bollettino economico della Bce (2022) pubblicato il 17 febbraio 2022, un ipotetico shock causato da un razionamento del 10% del gas per le imprese determinerebbe per l’Italia una riduzione di circa lo 0,8% del valore aggiunto.
Il commercio estero con la Russia – Nel 2021 l’Italia ha un interscambio commerciale con la Russia di 7.696 milioni di euro di esportazioni e di 13.984 milioni di euro di importazioni, di cui i due terzi sono costituiti dalle commodities energetiche. La Russia è il primo fornitore dell’Italia di petrolio greggio e gas naturale, con una quota del 19,9%, davanti ad Azerbaigian con 15,9%, Libia con 13,7%, Algeria con 12,6%, Iraq con 9,0%, Arabia Saudita con 6,3%. Quote più contenute per Nigeria (3,9%), Qatar (4,3%), Stati Uniti (2,9%) e Kazakhstan (1,8%).
La Russia domina l’offerta di gas verso l’Unione europea e l’Italia: per il nostro Paese, la quota del gas russo nei primi 11 mesi del 2021 sale al 41,5% delle importazioni totali di gas, in aumento di 0,3 punti rispetto al 41,2% dello stesso periodo del 2020.
Si delineano gravi ripercussioni sul commercio internazionale. Nel 2021 le esportazioni verso la Russia segnano un rimbalzo dell’8,8%, ma risultano ancora inferiori del 2,3% rispetto ai livelli pre-pandemia del 2019. Va ricordato che le conseguenze di lungo termine della crisi della Crimea del 2014 si sono scaricate interamente sulle esportazioni verso la Russia che, tra il 2013 e il 2021, per l’Unione europea a 27 cumulano un calo del 23,4%, con una maggiore penalizzazione del made in Italy (-29,3%) rispetto alle esportazioni di Germania (-26,1%), Spagna (-21,9%) e Francia (-19,6%).
La crisi energetica dell’inverno 2021-2022 – La guerra russo-ucraina si intreccia con la crisi energetica già in corso, delineata dalle 20 evidenze statistiche, proposte nel report “Caro-commodities: il deragliamento dei prezzi dell’energia nell’inverno 2021-2022” che Confartigianato pubblica nei prossimi giorni, e caratterizzata dalla più elevata crescita dei prezzi dell’energia dopo quelle del 1974 e del 1979, anni di inflazione “a doppia cifra”.
Gli ulteriori rialzi dei prezzi delle commodities energetiche peggiorano le condizioni già critiche sui mercati internazionali: il gas europeo (TTF) a gennaio 2022, nella media degli ultimi dodici mesi, sale del 407% rispetto ai 12 mesi precedenti, un ritmo oltre quattro volte superiore a quello del gas Usa (+90%) e oltre cinque quello del petrolio Brent (+73%).
All’aumento della bolletta energetica nel 2021 contribuisce l’incremento su base annua del 245% dell’import di energia elettrica, che nel 2021 raggiunge il massimo storico di 5,4 miliardi di euro. Un’osservazione a margine: in relazione alla composizione dei Paesi fornitori (nove decimi dell’elettricità importata provengono da Francia, Germania e Repubblica Ceca), il 42,3% dell’energia elettrica che importiamo è prodotta da centrali nucleari.
Mentre cresce il costo del gas, ne consumiamo sempre di più: nel 2021 il consumo in Italia di questa commodities è salito del 7,2%. L’impennata della quotazioni del gas europeo si è traslata sul mercato elettrico, con il prezzo di riferimento della borsa elettrica (PUN, Prezzo Unico Nazionale) che a gennaio 2022 sale del 269% rispetto a un anno prima, un trend che persiste anche nella media delle prime tre settimane di febbraio.
Ulteriori spinte recessive provengono dalla compressione del valore aggiunto delle imprese e dalla riduzione dei consumi delle famiglie che si associano all’aumento dei costi energetici. L’esame dei dati pubblicati ieri da Eurostat evidenzia come l’Italia stia subendo i danni maggiori dall’inflazione energy-driven rispetto agli altri maggiori paesi europei. A gennaio 2022 il tasso di inflazione armonizzato per l’Italia sale al 5,1%, per circa i tre quarti determinato dai beni energetici. L’Italia, producendo quasi la metà (47,7%) dell’energia elettrica utilizzando il gas (contro il 16,7% in Germania e il 6,6% in Francia), subisce il maggiore impatto sui costi dell’energia elettrica e gas per famiglie e imprese. Il prezzo di energia elettrica e gas in Italia si registra un aumento del 57,6%, quasi il doppio del +31,2% della media dell’Eurozona e di gran lunga superiore al +17,0% della Francia e al +15,3% della Germania.
Secondo le tariffe approvate dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), nel primo trimestre 2022 un kWh di materia energia elettrica (per arrivare al costo totale vanno sommate le spese di trasporto, oneri e accisa) costa a una micro impresa 4,6 volte (+360%) quello pagato un anno prima, mentre il costo di un metro cubo di materia gas naturale si è moltiplicato per 4,4 volte (+336%). In parallelo raddoppiano i prezzi alla produzione di energia elettrica e gas (+91,7% a dicembre 2021).
Sul settore del trasporto pesa la salita dei prezzi dei carburanti: a metà febbraio 2022 il prezzo del gasolio per autotrazione pagato dalle imprese cresce del 22,3% su base annua, mentre l’invasione dell’Ucraina sta generando ulteriori rialzi del prezzo del petrolio.
Sul lato dell’offerta, a una progressiva decarbonizzazione prevista dalle politiche green europee si associa, tra il 2014 e il 2021, il dimezzamento della produzione di gas naturale, che scende del 54,4% in Unione europea e del 53,4% in Italia; nel nostro Paese la produzione autoctona di gas soddisfa solo il 4,4% del consumo interno del 2021, in discesa rispetto al 5,8% del 2020 e il 6,5% del 2019.
L’Italia potrebbe attenuare la spinta dei prezzi del gas diversificando le forniture con maggiori importazioni di gas liquefatto, ma questo non sta avvenendo: nel 2021 la quota dei volumi di gas liquefatto diretto ai terminali di rigassificazione – con punti di ingresso a Panigaglia in provincia della Spezia, a Cavarzere in provincia di Rovigo e a Livorno – è scesa al 13,5% delle importazioni, ben 5,5 punti in meno rispetto al 19% del 2020.
Last but not least, la crisi energetica ha fatto venire al pettine il nodo di una tassazione dell’energia eccessiva e poco rispettosa del principio “chi inquina paga”, diventata un vero e proprio amplificatore della pressione sui costi delle imprese e sui bilanci delle famiglie.
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