Ci sono persone il cui atteggiamento è tendenzialmente ottimista, altre, all’opposto, che sono tendenzialmente pessimiste. Poi ci sono persone aggressive e altre socievoli, alcune realizzative e con capacità di lavorare duro, altre capaci di dominare stress e impulsi, e così via. Ogni persona possiede, infatti, una propria personalità, la quale consiste nella combinazione integrata di vari modi di essere, conoscere e agire che danno unitarietà e stabilità alle relazioni che instaura con il mondo. La personalità di un individuo è dunque il motore psicologico dei suoi comportamenti.



Un aspetto della personalità meno noto, ma, da qualche tempo, oggetto d’interesse degli studiosi è la propensione a progettare futuri di vita lontani. La teoria psicologica indica che chi è capace di “vedere lontano” nel tempo, in genere, attua scelte comportamentali coerenti con i contesti di medio-lungo periodo entro i quali le scelte agiscono e ciò ne aumenta le probabilità di successo e riduce quelle di fallimento.



Ci sono evidenze in vari Paesi del mondo e presso le più diverse categorie di persone che chi ha una mente capace di anticipare il futuro ottiene maggiori benefici in numerosi ambiti, tra i quali l’apprendimento scolastico, l’ottenimento di successi nella carriera accademica e professionale, l’esito di investimenti economici e professionali, in modo particolare nelle attività autonome, la maggiore soddisfazione per vari aspetti della vita (tempo libero, salute, relazioni sociali, figli).

Un esempio può aiutare a capire. Dopo aver conseguito il diploma di scuola superiore, un giovane si pone il problema se proseguire gli studi all’università, ed eventualmente quale indirizzo di studi seguire, oppure se orientarsi subito verso il mercato del lavoro, oppure, anche, se aspettare a decidere cosa fare nella vita, magari facendosi una famiglia per proprio conto. È intuitivo che, quanto più lunga è la traiettoria del pensiero e quanto più realistico è lo scenario nel quale si collocheranno le sue scelte, tanto più è probabile che l’esito della scelta soddisfi le sue aspettative.



Quindi, è necessario che un giovane cominci quanto prima a riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni, e sulle conseguenze delle conseguenze, all’infinito, al fine di riuscire a sintonizzarsi con un mondo che va avanti con le sue regole, le sue interrelazioni e, purtroppo, con i suoi imprevedibili shock (tra gli altri: calamità naturali, rivolgimenti economici e sociali, pandemie, conflitti locali e tra nazioni).

Ragionare sul futuro lontano è allora un modo per tenere la mente in allerta, per non farsi prendere in contropiede dalle cose della vita. Nessuno sa con precisione come sarà la società del futuro, né quale ruolo vi svolgeremo tra venti o trent’anni, però è possibile, confrontando sistematicamente le nostre ipotesi con ciò che abbiamo nei fatti realizzato, trarre elementi informativi in itinere su cui fondare ulteriori ipotesi di comportamento ed agire di conseguenza. Avere propensione al futuro significa, in definitiva, essere capaci di proiettarsi dinamicamente negli ipotetici scenari di medio-lungo periodo che costituiranno lo sfondo della nostra vita.

Ritornando all’esempio del giovane che ha conseguito il diploma di scuola superiore, si conosce abbastanza quale ritorno sociale può dare un titolo universitario e quali corsi di studio aprono la strada a carriere promettenti. Ma il giovane potrebbe avere interessi prevalentemente umanitari, di solidarietà sociale, invece che di lavoro e carriera. L’importante è che progetti la propria vita – e la riprogetti se qualcosa va storto, anzi sapendo sin dall’inizio che qualcosa andrà storto – con consapevolezza, creando nella propria mente, prima che nei fatti, le proprie aspirazioni, senza farsi travolgere dalla quotidianità e dal convulso procedere degli eventi del mondo.

Molti psicologi considerano l’orientamento al futuro un tratto della personalità degli individui, un tratto che si inizia ad acquisire ancor prima dell’adolescenza, assieme ad altri aspetti del carattere e che si plasma via via che la persona acquisisce esperienza e si forma un quadro mentale sufficientemente ampio delle cose del mondo.

Conoscere l’orientamento al futuro di una persona equivale dunque a conoscere il suo grado di autonomia decisionale. Se l’orientamento al futuro di una popolazione si distribuisse tra un valore minimo ed un massimo, ci saranno persone che sono:

– del tutto o prevalentemente “passive”, vale a dire centrate sul presente, e quindi con poca o nulla capacità di proiettarsi nel futuro; alcune tra queste possono essere incapaci persino di affrontare il presente;

– in una situazione mediana, che si può dire “reattiva” agli eventi – nel senso che sono capaci di modellare i propri atteggiamenti e comportamenti in funzione di ciò che si para loro di fronte – e che comprende la larga parte delle persone;

– “proattive”, ossia volte a pianificare anticipatamente le azioni necessarie a prevenire situazioni, tendenze o problemi futuri, che si collocano sulla parte di destra della distribuzione e che consideriamo quelle orientate al futuro.

La tripartizione sopra presentata è del tutto indicativa, poiché non ci sono limiti netti tra le tre categorie di persone. Quelli che sono chiari sono i poli: su un estremo sta l’assoluta passività e su quello opposto la proattività a getto continuo. Per finalità di ricerca, di solito, si colloca su ciascun polo il 25-30% della popolazione esaminata.

Per la misura della propensione al futuro di una popolazione, si può utilizzare la scala di Zimbardo & Boyd (1999), oppure scale più semplici da questa derivate. La nostra esperienza di ricerca ci induce ad utilizzare una scala basata su una batteria di 8 elementi, le cui risposte sono poi ridotte ad un unico valore sommando le risposte positive e sottraendo quelle negative, o, in alternativa, mediante il metodo statistico dell’analisi fattoriale che permette di estrarre un unico fattore dalle risposte ottenute. Gli elementi della scala sono varianti della propensione a guardare al futuro con speranza ed entusiasmo, ma vi sono presenti anche espressioni del tipo “Il futuro mi sembra vago ed incerto” che rappresentano, ovviamente, il polo negativo dell’orientamento al futuro.

La predisposizione ad attualizzare il futuro lontano è una forma di pensiero strategico, nel senso che, nel prendere decisioni, l’individuo si figura le possibili conseguenze – positive o negative – ciascuna corredata da una probabilità di accadimento, e poi valuta le conseguenze delle prime conseguenze, in un processo iterativo. In altri termini, questa predisposizione abitua a vedere il futuro senza limiti, pieno di possibilità e con rischi calcolati.

All’opposto, la persona che teme di fare ragionamenti sul futuro, poiché lo avverte fosco e insidioso, tenderà a vivere nel presente e eviterà di prendere decisioni strategiche, oppure a prenderà solo decisioni opportunistiche che le daranno, tutt’al più, soddisfazioni limitate nel tempo. Quindi, chi valuta il proprio futuro con spirito pessimistico e, a maggior ragione, chi, per timore di provare dolore psichico, rifiuta consapevolmente di pensare al proprio futuro, rischia ansie a ripetizione e in non pochi casi di cadere nella depressione.

La depressione è una grave malattia psichica che può condizionare la personalità e la salute fisica e mentale degli individui, nonché i loro comportamenti e, in ultima analisi, i loro percorsi di vita. La depressione può durare lunghi periodi, eventualmente alternati a periodi di salute, o manifestarsi in determinati momenti della vita e poi scomparire. Colpisce soprattutto i giovani che stanno per affacciarsi alla vita adulta e, in misura particolare, le donne in età riproduttiva.

Da sempre, le nuove generazioni vivono in modo ansiogeno la transizione dall’adolescenza alla vita adulta. Tuttavia, almeno negli ultimi tre quarti di secolo, la sostituzione delle vecchie con le nuove generazioni, pur nella varietà delle dinamiche, è sempre avvenuta senza eccessivi traumi, favorita da uno sviluppo sociale e materiale progressivo e da una successione lenta di shock sociali. Invece, le generazioni che stanno entrando nella fase adulta dopo il Covid-19 si sono trovate una guerra alle porte di casa quando ancora non era stata dichiara chiusa la pandemia e, mentre questa guerra era ancora in corso, ne è scoppiata un’altra che li ha coinvolti altrettanto emotivamente.

Gli shock sociali che i futurologi chiamano “cigni neri”, in quanto rari, cominciano a diventare normali, succedono a ridosso uno dell’altro e sono gravi. Per la generazione che si sta preparando a svolgere il ruolo sociale che le è proprio, il futuro è diventato più precario, meno malleabile, molto problematico. Per ogni giovane che intravede delle opportunità in un futuro da costruire, ce n’è uno che si deprime perché teme di non essere all’altezza dei problemi.

In uno studio svolto in Italia nel 2024, Angela D’Uggento e colleghi si sono chiesti quali categorie di persone hanno una mentalità aperta al futuro e quali altre hanno, invece, orizzonti di pensiero temporalmente più limitati. Applicando il test di propensione al futuro basato su 8 quesiti convergenti, di cui abbiamo detto sopra, e il metodo statistico dell’analisi fattoriale hanno ottenuto un fattore di propensione al futuro per giovani adulti (età 18-34).

L’analisi statistica mostra che, in un individuo, l’ottimismo è il tratto della personalità più correlato con la propensione al futuro, mentre la perseveranza, ossia la propensione a lavorare duramente, non lo è. Anzi, la perseveranza – che è la dote principale degli individui fattivi, che riescono a realizzare cose anche fuori del comune – non ha attinenza con la motivazione a progettare il futuro, motivazione che trova, invece, spinta nel ragionamento e in una disposizione d’animo ottimistica. Tra l’altro, questo risultato è in controtendenza con certe correnti psicologiche anglo-americane che tendono a considerare la perseveranza il motore principale di ogni pratica positività.

Le persone proattive possiedono sia l’ottimismo della ragione, sia particolari attese esistenziali. Le attese maturate nei giovani adulti più orientati al futuro sono: una disposizione d’animo favorevole alla creazione di una propria famiglia e ad avere dei figli, il conseguimento di un titolo di studio utile a presentarsi sul lavoro e il desiderio di viaggiare. La propensione a formarsi una famiglia ed avere dei figli è particolarmente interessante in Italia, Paese che ha i tassi di natalità tra i più bassi al mondo. La propensione a studiare e la voglia di viaggiare sono, invece, facilmente constatabili in tanti giovani adulti.

Lo studio di D’Uggento e colleghi ha anche evidenziato una significativa maggiore propensione al futuro tra gli uomini (rispetto alle donne). Inoltre, ha constatato che la depressione ha un forte impatto negativo sull’orientamento al futuro, che le donne sono mediamente più depresse degli uomini e che, se si escludono i depressi, uomini e donne non differiscono nell’orientamento al futuro. È quindi evidente un effetto combinato del genere e della depressione sulla propensione al futuro dei giovani adulti.

Lo studio propone solo ipotesi sulla diversa disposizione al futuro di maschi e femmine. In ambito econometrico, si è da tempo dimostrato che le donne sono meno propense al rischio e più timorose dei fallimenti. Studi psicometrici hanno dimostrato che, se le si chiede di pensare al futuro, la donna immagina una pluralità di ambiti entro i quali vorrebbe agire (lavoro, famiglia, svago, assistenza), mentre l’uomo si concentra su un paio di obiettivi, in primis il lavoro, sui quali intende ottenere risultati. Varie ricerche, non solo quella dianzi citata, indicano che l’attraversamento del periodo che precede la piena maturità delle donne rischia di causare ansie gravi e persino depressione e che queste difficoltà limitano l’abilità a progettare un proprio futuro, limitazione che, a sua volta, si può riverberare sulla loro salute mentale.

I casi di depressione grave constatati nel campione di giovani adulti esaminato (29% del campione ottenuto applicando un test clinico, ma valori simili sono stati constatati in studi analoghi) induce molti studiosi dei fenomeni giovanili ad ipotizzare che la crisi del mondo occidentale stia modificando le attese delle nuove generazioni, trasformando in timori ed incertezze quelle che un tempo erano attese e speranze delle giovani generazioni. Se questo è vero, c’è poco da fare, a meno che non si riesca a risolvere la crisi epocale della società occidentale.

Tuttavia, proprio per i riflessi che il pensiero strategico può avere sulle attese e sulle speranze dei giovani, l’abituarli a riflettere sul futuro può essere un esercizio in grado di circoscrivere le ansie che la riflessione sul futuro genera spontaneamente. Ciò potrebbe attenuare e, se ben fatto, addirittura invertire il lento scivolamento sul piano inclinato del declino sociale delle società occidentali.

L’educazione al futuro può essere un obiettivo che si pone la scuola, in modo particolare quella pre-universitaria, ma può anche essere un obiettivo extrascolastico, con test ed esercizi diffusi tramite i social media, ormai diventati il canale normale con cui i giovani si tengono in costante collegamento con il mondo reale.

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