Si è aperto il Forum della Pubblica amministrazione, arrivato ormai a un’edizione pluridecennale. Se fosse accompagnato da musica e canzoni piacevoli potremmo paragonarlo a una di quei musical che a Broadway tengono il cartello per anni, magari trovandosi nella necessità di sostituire gli attori che non sono più in grado di interpretare la stesso personaggio. Per l’occasione è stata distribuita un’istantanea della Pa che, al 1° gennaio 2021, conta 3,2 milioni di dipendenti, 31 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,97%), il minimo storico degli ultimi 20 anni. Com’è potuto accadere tutto ciò?
Ecco la spiegazione: “Dopo il timido segnale di crescita del personale del 2019, nel 2020 il blocco dei concorsi per l’emergenza sanitaria e l’accelerazione dei pensionamenti non ha permesso al turnover di ritrovare un equilibrio2. Facciamo ulteriore chiarezza. Quando si parla di 2accelerazione dei pensionamenti2 si fa riferimento a Quota 100, una misura che nel pubblico impiego ha trovato un’accoglienza migliore che nei settori privati anche se inferiore alle previsioni.
La composizione delle domande accolte per Gestione o settore di appartenenza evidenzia la forte incidenza del personale pubblico (30% del totale), soprattutto in relazione al numero di lavoratori interessati occupati nel settore (circa 2,7 milioni, a fronte dei circa 17 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato, 4 milioni di autonomi e 0,9 milioni di parasubordinati). La Pa italiana si conferma vecchia (in media 50 anni di età), scarsamente aggiornata (mediamente 1,2 giorni di formazione per dipendente l’anno), in difficoltà a offrire servizi adeguati a imprese e cittadini (il 76% degli italiani li considera inadeguati, mentre gli europei insoddisfatti sono il 51%), eppure chiamata a essere il motore della ripresa.
Intanto sono arrivati a 3,03 milioni i pensionati da lavoro pubblico, in un rapporto di 94 pensioni erogate ogni 100 contribuenti attivi. E l’esodo è destinato a aumentare: come descritto nello stesso Pnrr, nel prossimo triennio almeno 300 mila persone usciranno dal pubblico impiego (ma probabilmente saranno molte di più, se si considera che oltre 500 mila dipendenti hanno già oltre 62 anni e 183 mila hanno raggiunto oltre 38 anni di anzianità di servizio).
Si è aperta però una nuova stagione dei concorsi, con lo sblocco delle prove selettive e un’importante semplificazione delle procedure, destinati ad accelerare l’inserimento di personale necessario a garantire il funzionamento della macchina pubblica. Secondo la fotografia del Dipartimento Funzione Pubblica, nel 2021 sono previsti 119 mila nuovi ingressi a tempo indeterminato nella Pa: 9.875 posizioni tra regioni, servizio sanitari, comuni, università, enti pubblici non economici, enti di ricerca e avvocatura dello Stato, a cui si aggiungono circa 91.000 posti della scuola e 18.014 posti di concorsi banditi, conclusi o da concludere. E sono in arrivo le risorse del Pnrr, che investirà nel miglioramento della capacità amministrativa delle Pa centrali e locali 1,3 miliardi di euro, più ulteriori 400 milioni di euro di fondi strutturali Ue e cofinanziamento nazionale, per un totale 1,7 miliardi di euro: una cifra significativa, anche se pari solo allo 0,4% dei complessivi 396,9 miliardi di risorse previste per la ripresa, che richiede capacità “di spesa” e investimenti mirati per ridisegnare la Pubblica amministrazione italiana in funzione della sfida che la attende.
Molte buone intenzioni non ci sono dubbi. Peraltro non va dimenticato il “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale” sottoscritto, su iniziativa di Renato Brunetta, il 10 marzo da Draghi e dai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. Uno degli obiettivi del Patto era quello di “riconoscere alla Pubblica amministrazione il ruolo centrale di motore di sviluppo e catalizzatore della ripresa: la semplificazione dei processi e un massiccio investimento in capitale umano sono strumenti indispensabili per attenuare le disparità storiche del Paese, curare le ferite causate dalla pandemia e offrire risposte ai cittadini adeguate ai bisogni”. Quanto sia “strategica” in una fase come questa un’amministrazione pubblica più efficiente è una pressante raccomandazione dell’Ue nell’ambito del Pnrr; non è soltanto la condizione per ottenere i finanziamenti, ma poterli impiegare in maniera efficace, in un Paese che – come ha ricordato il Ministro Daniele Franco durante un’audizione al Senato – ha sulla coscienza lo spreco dei Fondi strutturali Ue che hanno consentito di attivare nel nostro Paese interventi per oltre 73 miliardi di euro fino a tutto il 2023. A quasi due anni dalla fine sono state impegnate risorse per soli circa 50 miliardi e, di questi, ne sono stati spesi poco più di 34. La riforma delle procedure dei concorsi dovrebbe agevolare questo impegno per un cambiamento.
Ma dal Forum sarebbe il caso che venissero delle spiegazioni convincenti del fallimento del concorso per 2.800 funzionari di alta specializzazione che avrebbero dovuto rafforzare gli handicap delle strutture meridionali nel formulare e seguire i progetti che saranno presentati e se del caso finanziati. Sappiamo che gran parte dei candidati selezionati non si sono presentati all’esame. Il fatto è che non è scoppiata all’improvviso un’idiosincrasia per l’impiego pubblico, visto che negli stessi giorni si sono svolti altri concorsi con il consueto afflusso di partecipanti molto superiore ai posti dei bandi. Forse la Pa non è un posto appetibile per chi dispone di una professionalità di un certo livello (a cui puntava il ministro Brunetta)? Se è così ci pare che esista un problema, anche in presenza delle migliori intenzioni possibili.
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