Come noto il nostro Paese, ma siamo in buona compagnia, basti vedere i cugini spagnoli, siamo, negli ultimi anni, in campagna elettorale permanente, tanto che giornali, talk show e telegiornali sfornano, in continuazione, sondaggi elettorali per provare a misurare lo stato di salute dei vari partiti, e movimenti, di governo e di opposizione. Nei giorni scorsi, tuttavia, Swg, uno dei più importanti operatori del settore, ha pubblicato un sondaggio un po’ “diverso” che prova a raccontare, partendo dalle percezioni di noi cittadini, com’è cambiata l’Italia.



Emerge, come peraltro molti studi indicano, che nel corso degli ultimi 16 anni c’è stato un vero e proprio “sfarinamento” delle condizioni di vita delle persone, che si è condensato in un duplice processo di de-cetomedizzazione e ampiamento delle diseguaglianze sociali. Nel 2003, infatti, secondo il sondaggio, quasi il 70% degli italiani si sentiva parte del ceto medio. Oggi, questa quota di “borghesi” è scesa al 42%, dopo aver toccato quota 39% negli anni più duri della crisi che vanno dal 2012 al 2014.



La piramide sociale nazionale si scompone, quindi, oggi, almeno secondo quanto rilevato nell’autopercezione degli italiani, in tre macroaree: un vertice composto dall’ 8% della popolazione che si sente agiata, che avverte e pensa di far parte del ceto alto o medio alto, un 34% che si autocolloca nella middle class, mentre il restante 58% si va a posizionare fra i ceti che avvertono crescenti difficoltà economiche. In questa ultima, e vasta, area troviamo il 36% delle persone che si autoposiziona nel ceto medio basso (soggetti con un reddito abbastanza stabile che consente loro di avere tutto il necessario senza lussi).



Il 17% della stessa fascia sociale si percepisce come parte del ceto laborioso (persone che vivono con difficoltà del proprio lavoro) e, infine, l’ultimo, sotto molti aspetti, 5% del campione che si sente marginale, costretto a vivere con meno di quanto sarebbe necessario per avere una vita dignitosa. Questo dato, peraltro, deve inserirsi in una dinamica più complessiva. Nel corso degli ultimi anni, infatti, solo l’11% delle persone afferma di aver vissuto un processo di ascesa sociale, mentre il 42% denuncia un chiaro peggioramento e uno scivolamento verso il basso del proprio status sociale: abbiamo insomma un ascensore sociale che, decisamente, non funziona più tanto bene e necessità un po’ di aggiustamenti.

Non aiutano, in questo quadro, le proiezioni sul futuro (principalmente economico) per la propria famiglia. Solamente il 38% del ceto medio ritiene di essere in grado di dare ai propri figli livelli di vita migliori, un dato che nel ceto medio-basso si dimezza drasticamente scendendo a un misero 19%.

Siamo, insomma, secondo gli italiani, in una fase storica contraddistinta dall’aumento delle diseguaglianze sociali che si caratterizza dal perdurare della paura di perdere il proprio posto di lavoro (dato che oscilla, nel corso degli ultimi anni, tra il 65% e il 59%), dall’assillante senso di un futuro corto, dall’impossibilità di fare progetti a medio e lungo termine e dalla mancanza di una visione di dove sta andando la nostra “Povera Patria” e noi con lei.

Il lavoro demoscopico, alla fine, offre numerosi spunti di riflessione per provare a capire le paure e i bisogni degli italiani e per poter, quindi, immaginare risposte possibili e credibili. Prima perciò di leggere gli altri sondaggi quelli per cui si brinda per uno zerovirgola in più, non sarebbe male leggere attentamente quello, un po’ più serio, su come in Italia si stanno percependo i cambiamenti epocali che stiamo, anche noi, vivendo. Probabilmente, se ben letto il messaggio che va oltre i crudi numeri statistici, anche le performance elettorali di molti partiti migliorerebbero.