Reddito disponibile e consumi in netta diminuzione e la quota di risparmio si impenna. Questa la conclusione dell’indagine periodica condotta da Istat sul secondo trimestre 2020 con particolare attenzione al “Conto trimestrale delle AP reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società”. I dati diffusi ieri cristallizzano l’attuale momento di incertezza nel nostro Paese. Un’incertezza che immobilizza i consumi (già gravati dalla riduzione del reddito a disposizione) a favore invece della più sana e prudenziale propensione italiana: quella del risparmio.
Nel “commento” Istat, si può constatare come «il reddito disponibile delle famiglie ha segnato, dopo il calo del primo trimestre, una contrazione marcata – seppure molto meno ampia di quella registrata dal Pil nominale – che si è tradotta in una riduzione del potere di acquisto. Il tasso di risparmio è aumentato fortemente nel secondo trimestre per la decisa contrazione della spesa per consumi finali delle famiglie». Nello specifico, per le cosiddette “famiglie consumatrici” (rif. «individui o gruppi di individui la cui funzione principale consiste nel consumare o che producono beni e servizi non finanziari esclusivamente per proprio uso finale») viene certificato un vero e proprio balzo del loro risparmio: «La propensione al risparmio delle famiglie consumatrici nel secondo trimestre 2020 è stata pari al 18,6%, in aumento di 5,3 punti percentuali rispetto al trimestre precedente. Il forte incremento deriva da una flessione della spesa per consumi finali (-11,5%) significativamente più sostenuta rispetto a quella registrata per il reddito disponibile lordo (-5,8%)».
Ed ecco l’ennesimo ritrovato nelle scelte degli italiani: il sempre in auge risparmio e, valori come quelli registrati, devono far riflettere.
A inizio anno, le risultanze emerse da Oxfam a Davos vedevano in Italia una distribuzione della ricchezza (molta) a disposizione di pochi (pochissimi): a giugno 2019 «il 10% più ricco possedeva oltre 6 volte la ricchezza del 50% più povero dei nostri connazionali. Una quota cresciuta in 20 anni del 7,6% a fronte di una riduzione del 36,6% di quella della metà più povera degli italiani. L’anno scorso inoltre, la quota di ricchezza in possesso dell’1% più ricco degli italiani superava quanto detenuto dal 70% più povero, sotto il profilo patrimoniale».
Se a queste rilevazioni si affiancano inoltre gli ultimi dati di Consob sulle “Scelte di investimento delle famiglie italiane” (rapporto all’8 novembre 2019) che individuavano un popolo italiano propenso al risparmio (78% degli intervistati), ecco come si arriva all’odierno spaccato italico. Oggi, però, a differenza della tradizionale e naturale “propensione italiana” viviamo una forzatura sui propri intenti: gli italiani, a fronte della pandemia, hanno significativamente cambiato il loro modo di gestire la ricchezza di cui sono in possesso.
Prescindendo dalle caratteristiche del risparmiatore rilevate da Consob (rif. «il risparmio è più frequente tra i soggetti più abbienti, con maggiori conoscenze finanziarie, abituati a pianificare e inclini verso l’auto-efficacia, l’ottimismo e la contabilità mentale»), la criticità del presente e l’ansia per il futuro, hanno obbligato tutti – chi più chi meno – a dover obbligatoriamente accantonare (+18,6%) piuttosto che consumare (-11,5%). È pur vero che il reddito lordo a disposizione si è ridotto (-5,8%), ma, a conti fatti, è indiscutibile la scelta finale: risparmiare il più possibile.
Osservando l’intero panel si potrebbe giustificare la riduzione della spesa a questo nuovo incremento della quota risparmiata ossia meno consumi comportano più risparmio. Per chi scrive, invece, l’assioma è esattamente l’opposto: il popolo italiano, prescindendo dalle proprie conoscenze (v. il sopracitato profilo Consob), in questo periodo ha preferito (obbligatoriamente) non spendere privilegiando la quota risparmiata. Alla base di questa scelta, come più volte richiamata su queste nostre pagine, la prudenza ha prevalso.
Ora, sulla base di quanto emerso da Istat, resta però vivo un timore. Consultando le sintesi del documento pubblicato si apprende di una pressione fiscale pari al 43,2%, «in crescita di 1,8 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, nonostante la marcata riduzione delle entrate fiscali e contributive». Pertanto oggi l’Italia si vede con: il reddito diminuito, il risparmio aumentato, i consumi in flessione e la pressione fiscale in crescita. A seguito di questa pericolosa sequenza, l’interrogativo è scontato: oltre a quello che abbiamo purtroppo vissuto, che stiamo ancora vivendo, e che probabilmente vivremo per qualche tempo, cosa dobbiamo aspettarci (che accada) per rimettere mano a una significativa rimodulazione della pressione fiscale?
All’attuale timore del popolo italiano è necessario – ora – contrapporre il coraggio della politica. I giorni passano, i mesi trascorrono, e gli anni sono ormai molti con i numeri pressoché uguali. Cambiare è semplice basta volerlo e gli italiani lo hanno dimostrato con il loro risparmio. E la politica? Rimaniamo in attesa, ancora una volta.