Ultimi della serie gli industriali: servono più immigrati. Prima di loro gli avvocati d’ufficio, in quanto non richiesti dagli interessati, che affollano la platea: ricercatori, demografi, politici che la sanno lunga, associazioni per l’accoglienza, persino presidenti dell’Inps. Ma è proprio così? Mettiamo in fila un po’ di numeri ricavati dalle statistiche ufficiali e che ciascuno di voi può trovare nel IX rapporto sugli stranieri nel mercato del lavoro italiano del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.



Ebbene, secondo l’Istat, il 30% delle famiglie immigrate residenti versa in condizioni di povertà assoluta, i due terzi del totale di riferimento se sommiamo a queste le famiglie a forte rischio di impoverimento. Il tasso di disoccupazione specifico degli immigrati è del 14,2% rispetto al 9% di quello degli italiani. Nel mercato del lavoro italiano ci sono 2,6 milioni di persone in cerca di lavoro, altri 3 milioni di inattivi che si dichiarano disponibili a lavorare e 2 milioni di giovani che non studiano e non lavoro ricompresi nelle due precedenti classificazioni. La gran parte di queste persone ha caratteristiche di bassa occupabilità e quindi potenzialmente utilizzabile per mansioni poco qualificate.



Negli ultimi 10 anni tutte le criticità emergenti del nostro mercato del lavoro – l’aumento dei lavori a termine e a orario ridotto, la nuova occupazione concentrata sulle basse qualificazioni, l’elevata quota di sotto occupati e di lavoro sommerso – coincidono con i settori e le mansioni svolte dagli immigrati. Il tutto in un contesto che vede l’Italia con un tasso di occupazione di 10 punti inferiore alla media europea (equivalente a circa 3,8 milioni di occupati in rapporto alla nostra popolazione).

Questi numeri e molti altri, come la riduzione dei salari e dei redditi percepiti dai lavoratori stranieri avvenuta nel corso della crisi economica, rendono evidente che esiste un serio problema di sussistenza per buona parte della immigrazione regolarmente residente in Italia. E in queste condizioni ci sono opinion leader che teorizzano di dover fare nuove infornate di immigrati per lavori a bassa qualificazione. Persino di tenere aperti i porti per soddisfare i fabbisogni delle imprese, confondendo l’accoglienza dei profughi con le politiche per il mercato del lavoro. E lo affermano convinti di fare un favore agli immigrati stessi a partire da quelli regolarmente residenti.



Nel contempo, questi ultimi sono stati sostanzialmente esclusi dall’accesso al reddito di cittadinanza e dalle politiche attive del lavoro con l’introduzione di norme palesemente discriminatorie. Mentre i disoccupati italiani che percepiscono il sussidio in questione, circa 600 mila, possono, sempre in base alla legge, rifiutare le offerte di lavoro ritenute buone per gli immigrati.

Purtroppo in materia di immigrazione si continua a privilegiare una discussione avulsa dalla realtà e in ritardo con i tempi e questo non depone bene per le scelte che devono essere assunte.