Dopo aver esaminato in due precedenti puntate rispettivamente le uscite del settore pubblico, che sono state amplificate dal Covid, e le entrate, che invece sono state, almeno nella fase acuta del Covid, ridimensionate, non resta che tirare le fila e verificare gli effetti di entrambe sul saldo del Conto consolidato delle Amministrazioni pubbliche, più noto come Disavanzo o Deficit pubblico. Quanto del suo peggioramento risulta tuttora in essere? Quanto strada dovrà essere percorsa per tornare a conti pubblici non problematici? In che modo si dovrà cercare di farlo?



Prima di provare a rispondere conviene un breve riepilogo di quanto scoperto nella precedente analisi delle dinamiche della spesa e della entrate pubbliche:

– Riguardo alla spesa pubblica complessiva, le conseguenze economiche del Covid, e le politiche di contrasto a tali effetti che sono state introdotte, hanno portato a un aumento di 76 miliardi nell’anno 2020 ai quali si sono aggiunti ulteriori 78 miliardi nel 2021, poi 58 miliardi nel 2022 e ancora 19 nel primo trimestre del 2023, l’ultimo per il quale sono stati pubblicati i dati. La maggior spesa pubblica annua nel post-Covid è dunque al momento pari a 231 miliardi, dei quali tuttavia una cinquantina deriverebbero dagli effetti del cambio delle regole di contabilizzazione dei bonus più recenti (e discussi) in favore dell’edilizia (Bonus facciate e 110%), non più registrati negli esercizi futuri come minori tasse dovute da chi ne ha beneficiato bensì come maggior spesa attuale. Al netto dei medesimi possiamo pertanto stimare all’inizio del 2023 in circa 180 miliardi annui l’impatto del Covid sulla spesa pubblica.



– Riguardo invece alle entrate pubbliche, esse sono diminuite nel primo anno di Covid, per l’effetto del crollo degli imponibili sino a un massimo di 58 miliardi annui nell’ultimo trimestre del 2020. Tuttavia, già nel 2021 il gettito si è completamente ripreso e nei quattro trimestri terminante nell’estate del 2021 esso era ritornato ai livelli pre-Covid dell’anno 2019. Da allora è proseguito il suo incremento,  sino ad arrivare a 99 miliardi di incremento netto su base annua nel primo trimestre del 2023.

A questo punto non ci resta che sommare i diversi effetti:



– 231 miliardi di maggiore spesa pubblica meno 99 miliardi di maggiori entrate determinano un peggioramento del disavanzo pubblico di 132 miliardi, corrispondenti a circa sei punti percentuali e mezzo in termini di Pil;

– Se dai 132 miliardi detraiamo l’effetto contabile della differente regola di contabilizzazione dei bonus per l’edilizia, che in quanto crediti cedibili equivalgono a maggior spesa pubblica attuale anziché come i loro predecessori non cedibili a minori entrate fiscali future, stimati in 50 miliardi, l’impatto complessivo del Covid sul disavanzo si ridurrebbe a poco più di 80 miliardi, una cifra sensibilmente inferiore ma ancora corrispondente a più di quattro punti di Pil.

Il Grafico 1 illustra questi effetti. A partire dal disavanzo dell’anno 2019 ante-Covid, pari solo a 27 miliardi, corrispondenti a un punto e mezzo di Pil, si vede il peggioramento determinato dal continuo incremento della spesa pubblica, il quale prosegue alla medesima velocità della fase acuta del Covid anche durante il Governo Draghi, e il contributo, dapprima peggiorativo e dalla seconda metà del 2021 migliorativo, prodotto dalle entrate pubbliche.

Grafico 1 – Effetti del Covid sul disavanzo pubblico/indebitamento della PA (miliardi di euro)

Come ridiscendere nei prossimi anni dalla montagna del disavanzo? O, visto che nel grafico le grandezze sono rappresentate col loro segno negativo, come risalire dalla voragine? Il miglioramento sinora avvenuto ha riguardato per intero il lato delle maggiori entrate, anche accettando un aumento della pressione fiscale, ma questo non può essere il sentiero principale da seguire da qui in avanti. Al suo posto bisogna avere il coraggio di avviare un ripensamento e una riqualificazione razionale della spesa pubblica. Ed è fondamentale che siamo noi a farlo in via autonoma e per tempo, in modo da precedere e neutralizzare in anticipo le inevitabili spinte europee che i Paesi nordici tradizionalmente rigoristi nella finanza pubblica non mancheranno di produrre ai nostri danni da qui a non troppo tempo.

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