Con il titolo generale Vivere di più, vivere meglio? Il welfare al bivio la Fondazione per la Sussidiarietà ha organizzato tre talk show al Meeting per l’amicizia tra i popoli di Rimini (20-25 agosto 2024) con l’obiettivo di mettere a fuoco lo stato attuale del welfare nel nostro paese e soprattutto cosa ci si può aspettare nel prossimo futuro. Il primo dei tre incontri, in particolare, ha cercato di sciogliere il provocatorio punto di domanda presente nel titolo dell’iniziativa, punto di domanda che è il cuore delle riflessioni che seguono e che hanno lo scopo di fornire una base quantitativa (di tipo statistico) per capire perché si mettono a confronto il concetto di vivere di più e quello di vivere meglio.



Il concetto di vivere di più è semplice e facilmente comprensibile da chiunque, anche perché è lampante (senza bisogno di essere professionisti dei numeri) l’osservazione che nelle nostre popolazioni sono in largo aumento le quote di soggetti con più di 65, più di 75, e più di 90 anni. Negli ultimi 40 anni, ad esempio, in Italia (tabella 1) i soggetti con 65 anni e più sono passati dal 13,23% del 1982 al 23,80% del 2022, quelli con 75 anni e più dal 4,77% del 1982 al 12,12% del 2022, quelli con 85 anni e più dal 0,79% al 3,86%, ed anche gli ultra novantenni sono passati dal 0,19% al 1,39%. I numeri dicono chiaramente che si vive di più perché sono in largo aumento le quote di persone che vivono più a lungo.



Tabella 1. Andamento nel tempo della proporzione di persone con più di 65, di 75, di 85, di 90 anni. Fonte Istat.

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Un altro modo, tipicamente utilizzato dai demografi ma che ormai è entrato nel lessico comune, per valutare l’allungamento della vita è quello di ricorrere all’indicatore speranza di vita (o vita attesa): la tabella 2 ne riporta diversi esempi, dai quali si vede come la vita si sia molto allungata in questi 40 anni.

Più difficile risulta invece definire cosa vuol dire vivere meglio. Le esperienze più consolidate riguardano il vivere meglio in termini di salute ed hanno proposto diversi indicatori per misurare questo vivere meglio: ad esempio, anni vissuti in buona salute, anni vissuti liberi da disabilità, e così via, con tutte le varianti che poi assume la misura della salute (salute percepita, limitazioni nelle attività della vita quotidiana, presenza di malattie croniche). Va da sé che per calcolare questi indicatori occorrono informazioni appropriate, e queste informazioni (esempio: presenza di limitazioni o disabilità, presenza di cronicità) sono normalmente rilevate attraverso indagini campionarie perché non esistono sistemi informativi adeguati che abbiano il requisito della esaustività.



La banca dati “Health for All” di ISTAT, ad esempio, presenta tre tipologie di indicatori: la classica speranza di vita (alla nascita, ed a diverse età) calcolata a partire dai dati di mortalità, la speranza di vita in buona salute calcolata a partire dai dati sulle cronicità, e la speranza di vita senza limitazioni nella attività, calcolata a partire dai dati sulle disabilità. La tabella 2 presenta i valori di questi indicatori per il totale del nostro paese distinguendo maschi e femmine.

Tabella 2. Andamento nel tempo di alcuni indicatori della speranza di vita, e anni di vita attesi in condizioni di salute non buone. Distinzione tra maschi e femmine. Fonte Istat.

Negli ultimi 40 anni la lunghezza della vita attesa media alla nascita nella popolazione italiana è aumentata di 9,1 anni per i maschi e di 7,8 anni per le femmine, e lo stesso si è verificato a 65 anni con valori assoluti ovviamente inferiori (uomini +5, donne + 4,5) ed a 75 anni (uomini +3,2, donne +3,5). Non abbiamo una serie altrettanto lunga nel tempo per gli altri due indicatori ma i dati dell’ultimo decennio dicono che lo stesso fenomeno riguarda anche la speranza di vita in buona salute e quella senza limitazioni nelle attività. Non solo, la tabella ci dice anche che la speranza di vita in buona salute sta aumentando di più della speranza di vita complessiva, soprattutto tra le donne. Inoltre, mentre per l’attesa di vita complessiva sono le donne ad avere la vita più lunga, quando si passa all’attesa di vita in buona salute o in assenza di limitazioni la situazione si inverte e sono i maschi ad avere una vita in salute più lunga di quella delle femmine. La figura 1 cristallizza graficamente questo risultato in relazione ai dati dell’anno 2022.

Figura 1. Alcuni indicatori della speranza di vita. Distinzione tra maschi e femmine. Anno 2022. Fonte Istat.

La differenza tra la speranza di vita complessiva e quella in buona salute dà l’idea di quanti sono gli anni che la popolazione vive non in buona salute, cioè con cronicità e/o disabilità. Sia che si faccia la valutazione alla nascita, sia che la si faccia a 65 anni (tabella 2, ultime due colonne) gli uomini vivono in cattiva salute quasi 20 anni mentre le donne oltre 25 anni. La finestra temporale di 10 anni analizzata è ancora breve per indicare un trend ma sembra suggerire che gli anni in non buona salute si stiano riducendo, soprattutto nelle donne. Secondo i dati Istat del 2022 quindi gli uomini vivrebbero in media il 24% della propria vita (19,28/80,48) non in buona salute, mentre le donne addirittura il 30% (25,71/84,78). Ancora: le donne vengono colpite da cronicità (a 59 anni nel 2022) mediamente prima degli uomini (a 61 anni) ma poi con questa cronicità vivono più a lungo (25,7 anni vs 19,3).

Istat mette anche a disposizione i dati fin qui presentati suddivisi per regione: a titolo di esempio nel seguito vengono riportati i valori degli indicatori relativi all’anno 2022, suddivisi per genere. Per i maschi (tabella 3) la speranza di vita alla nascita va dagli 81,16 anni del Trentino Alto Adige e 81,07 della Toscana ai 78,34 della Campania e 78,33 del Molise. Per quanto riguarda la speranza di vita in buona salute alla nascita si va dai 66,88 anni del Trentino e 63,81 dell’Umbria ai 58,55 della Sicilia e 53,24 della Calabria. La speranza di vita senza limitazioni di attività alla nascita varia tra i 68,20 del Trentino e 67,64 della Toscana e i 62,04 della Sicilia e 61,40 della Sardegna. In termini di macroaree territoriali tutti gli indicatori di speranza di vita sono più elevati al Centro-Nord e più bassi al Sud.

Tabella 3. Alcuni indicatori della speranza di vita alla nascita, suddivisi per sesso e regione (e macroarea). Anno 2022. Fonte Istat.

La tabella 3 riporta anche i corrispondenti valori per le femmine: si osservano risultati analoghi in termini di variabilità regionale (e di macroarea) anche se in qualche indicatore cambiano le regioni che presentano i valori più alti e quelli più bassi. Rimane confermata anche per le femmine la differenza tra il Centro-Nord (attesa di vita più elevata) ed il Mezzogiorno (attesa di vita più bassa).

Pure per le singole regioni è possibile calcolare gli anni medi attesi di vita non in buona salute: la tabella 4 li presenta suddivisi per genere e con gli indicatori calcolati sia alla nascita che a 65 anni, sempre per l’anno più recente disponibile (2022). I 19,8 anni del totale italiano per i maschi alla nascita sono la composizione tra le regioni che hanno valori più bassi (Trentino 14,28; Umbria 17,04; …) e quelle che hanno valori più alti (…; Sardegna 20,78; Calabria 25,76); e lo stesso succede per le femmine con una media di 25,71 anni (Trentino 20,12; Toscana 23,40; …; Sardegna 28,40; Calabria 30,63). In termini di macroaree geografiche gli anni di vita non in buona salute sono maggiori nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord.

Tabella 4. Anni di vita non in buona salute, suddivisi per genere e per regione e macroarea. Anno 2022. Fonte Istat.

Mettendo le regioni in fila dal punto di vista territoriale da Nord a Sud (figura 2), si osserva una tendenza analoga nei due generi e nei due indicatori calcolati alla nascita ed a 65 anni: gli anni di vita vissuti non in buona salute aumentano nel passaggio geografico dalle regioni del Nord a quelle del Sud.

Figura 2. Anni di vita non in buona salute, suddivisi per genere e per regione. Anno 2022. Fonte Istat.

I dati regionali permettono anche di mettere in relazione, ad esempio, gli anni di vita attesi alla nascita con gli anni di vita attesi alla nascita ma non in buona salute: è quello che si è fatto in figura 3 separatamente per maschi e femmine. In ognuno dei due generi, con una correlazione più elevata tra le femmine, si osserva una tendenza: all’aumentare della speranza di vita alla nascita diminuiscono gli anni di vita non in buona salute, cioè dove si vive più a lungo si vivono anche meno anni in cattiva salute.

Figura 3. Relazione tra la speranza di vita alla nascita e gli anni di vita non in buona salute. Dati riferiti alle singole regioni. Anno 2022. Fonte Istat.

Per gli amanti della metodologia si segnala che, se non si fosse condotta una analisi separata per sesso, si sarebbe ottenuto un risultato contrario (rappresentato dalla linea punteggiata verde), per altro con un livello di correlazione molto più elevato: e questo dice della prudenza e della attenzione con cui devono essere condotte queste valutazioni.

Volendo sintetizzare i risultati proposti, ed anche tenendo conto della necessaria prudenza che si deve avere nell’interpretare questa tipologia di indicatori, si potrebbe dire innanzitutto che vi è l’ulteriore conferma di cose già note: il continuo allungamento complessivo della vita, il gap di genere (le donne vivono di più dei maschi) che nel tempo si sta riducendo, l’eterogeneità territoriale che vede un trend geografico nel passaggio dalle regioni del Nord a quelle del sud con queste ultime che hanno una speranza di vita inferiore. E questo risulta non solo facendo il calcolo della speranza di vita alla nascita ma anche ripetendolo alle diverse età. Se nel confronto internazionale (qui non riproposto) la lunga vita media degli italiani viene spesso attribuita agli effetti benefici della dieta mediterranea, i risultati del confronto tra regioni del nostro paese dove le regioni del sud vivono di meno di quelle del Nord non può essere spiegato dallo stesso argomento (dieta mediterranea) ma sarà necessario chiamare in causa altri fattori che riescano a spiegare soprattutto i risultati negativi del sud.

Ma se questi risultati rappresentano solo una conferma di informazioni per tanti aspetti già note, molti sono invece i risultati di rilievo (e le considerazioni che questi risultati suggeriscono) quando si mette l’attenzione sull’idea del “vivere meglio” misurata attraverso gli indicatori della attesa di vita in buona (o cattiva) salute oppure in assenza di limitazioni. I risultati dicono innanzitutto che la speranza di vita in buona salute e quella senza limitazioni nelle attività sono in aumento, cioè se da una parte si sta allungando complessivamente la vita dall’altra si sta contemporaneamente allungando anche la vita vissuta senza disabilità o malattie croniche; non solo, ma la lunghezza di questa vita in buona salute sta aumentando di più della speranza di vita complessiva, soprattutto tra le donne. Il secondo elemento che si deve sottolineare è che mentre sono le donne ad avere la vita più lunga quando si considera l’attesa di vita complessiva, la attesa di vita in buona salute o in assenza di limitazioni è più lunga per i maschi. Detto altrimenti, le donne raggiungono uno stato di cattiva salute (malattie croniche, disabilità) prima (a 59,1 anni) degli uomini (a 61,2 anni), ma poi mantengono questo stato di cattiva salute più a lungo (25,7 anni) degli uomini (19,3 anni) raggiungendo così una durata complessiva della vita superiore. Ci sono poi indizi, da confermare con una finestra di osservazione più ampia dei 10 anni oggi disponibili, che questi anni in cattiva salute si stiano riducendo, soprattutto nelle donne.

Un altro gruppo di risultati meritevole di attenzione riguarda l’eterogeneità territoriale valutata attraverso gli indicatori misurati a livello regionale. Se le differenze Nord-Sud erano già note con riferimento alla speranza di vita complessiva, gli indicatori riferiti alla salute confermano che anche la durata della vita in buona salute è inferiore al sud rispetto al resto del paese, e quindi la minore durata complessiva della vita che si sperimenta al sud trova origine innanzitutto nel raggiungimento di un cattivo stato di salute ad una età inferiore rispetto alle altre macroaree del paese. Per altro anche la durata della vita in cattiva salute al sud è superiore rispetto alle altre regioni ma questa maggiore durata non è sufficiente a portare la durata complessiva della vita al livello delle altre macroaree. Da ultimo i dati dicono che nelle regioni dove si vive più a lungo si vivono anche meno anni in cattiva salute.

I fattori che possono essere all’origine di queste dinamiche della attesa di vita complessiva o in buona o cattiva salute sono moltissimi, sanitari e no. Se, da una parte, l’allungamento complessivo della vita è da tutti considerato positivo, dall’altra va sicuramente sottolineato che la parte di vita trascorsa in cattiva salute è piuttosto lunga (24% maschi, 30% femmine), e le innovazioni nelle cure portano necessariamente ad allungarla ancora di più. Se si vuole lavorare allora nella direzione di ridurre questo periodo di vita non in buona salute occorrerà agire sul suo inizio, cioè occorrerà alzare la speranza di vita in buona salute: detto diversamente, sarà necessario ritardare l’insorgenza delle malattie croniche e delle disabilità.

E’ un obiettivo raggiungibile? Come detto, i fattori in gioco possono essere molti, ma tra quelli di tipo sanitario se ne impone uno d’ufficio: la prevenzione ed educazione sanitaria. Si può alzare significativamente l’età di insorgenza della cattiva salute attraverso le attività preventive organizzate dal servizio sanitario (educazione sanitaria, controllo dell’ambiente e delle condizioni di lavoro screening, …) e, soprattutto, attraverso l’adozione di comportamenti individuali (abitudini di vita, dieta, hobbies, …) che favoriscano il mantenimento di positive condizioni di salute.

L’inevitabile allungamento della vita che stiamo osservando da decenni può e deve essere accompagnato da un allungamento della vita in buona salute: i positivi segnali che i dati già oggi mandano possono essere ulteriormente favoriti da una alleanza tra le azioni del servizio sanitario ed i buoni comportamenti (preventivi) dei cittadini.

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