Quante cose uniscono e quante invece dividono nella storia del Novecento l’Italia e la Spagna? Sembra esserci nelle vicende politiche dei due Paesi una discrasia, uno sfalsamento, che a volta ci porta a comprendere con difficoltà – o a non comprendere affatto – le ragioni di fondo di una certa diversità. Basta guardare a cosa sta accadendo in questi giorni a Madrid dopo la decisione del partito socialista di Sánchez di allearsi con sette partiti diversi (secessionisti catalani compresi) pur di non dar vita a un Governo di unità nazionale con il Partito popolare, perché partito fondato dagli eredi diretti del franchismo.
Vista dall’Italia, questa scelta rivela qualche spunto di riflessione su come pesa il passato sul presente e sul futuro politico di un popolo. O come dovrebbe influire. Come sappiamo nel Novecento la storia spagnola ha intersecato più volte la nostra storia nazionale: la guerra civile dal ’36 al ’39, le brigate di partigiani italiani schierate con la Repubblica e l’aiuto militare fascista al caudillo Franco voluto dal genero del duce Galeazzo Ciano, e poi il franchismo che sopravvive al fascismo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, grazie al supporto americano e della Nato. E poi ancora il passaggio indolore alla democrazia negli anni ’70 dopo la morte del dittatore e la partecipazione alla costruzione europea. Infine, il ruolo del Partito socialista spagnolo – lo storico Psoe, fondato nel 1879 – dal lungo Governo di Felipe González, grande amico di Bettino Craxi, a quelli di Pedro Sánchez, leader europeo faro per la giovane Elly Schlein.
Tutta questa complessa vicenda politica fa da sfondo a I pazienti del dottor Garcia, una bella serie tv spagnola – distribuita da Netflix e prodotta in collaborazione con il canale Rtve – tratta dall’omonimo romanzo di Almudena Grandes. Il racconto inizia proprio nel 1936 quando ebbe inizio la guerra civile che insanguinò il Paese per quasi tre anni. Il dottor Guillermo Garcia Medina svolge il suo compito di medico presso il pronto soccorso di un grande ospedale di Madrid e cura decine di soldati feriti dell’esercito repubblicano. Cresciuto da un nonno libertario si sente vicino alla causa per cui combattono i suoi malati e così, pur non essendo comunista, è considerato da tutti il “medico dei rossi”. Quando l’esercito di Franco entra a Madrid è costretto a mettersi in fuga.
Viene aiutato da uno dei pazienti a cui ha salvato la vita, Manolo Arroyo Benitez, che in realtà è un’importante spia. Manolo salva Guillermo regalandogli una nuova identità. Così il dottor Garcia per sfuggire all’arresto e alla sicura morte diventa Raffael Cuesta Sánchez, un’apprezzato spedizioniere alle prese con gli interessi economici del sottobosco clientelare del nuovo regime. È in questa veste che, finita la guerra, il dottor Garcia viene ricontattato da Manolo, che nel frattempo ha trovato rifugio in Argentina, che gli chiede di dare il suo contributo alla resistenza, aiutandolo a smascherare la rete che il franchismo ha creato per mettere in salvo i nazisti e i fascisti superstiti in Sud America.
Guillermo e Manolo – nelle loro nuove identità – nel frattempo hanno messo su famiglie e hanno ora dei figli. Si rincontreranno solo dopo la caduta del regime nel 1975. Il racconto, che a tratti diventa un appassionato thriller, corre veloce, lungo un arco temporale molto ampio ed è arricchito da un attento lavoro di ricostruzione storica degli ambienti, dei costumi, delle musiche. Sullo sfondo la vita povera anche se dignitosa di una Spagna che non ha conosciuto né il boom economico del dopoguerra, né l’euforia del benessere di massa.
Il cast è composto da bravi attori spagnoli, come il popolare Javier Rey nei panni del dottor Garcia, l’attrice Veronica Echegui che interpreta Amparo, l’amica d’infanzia franchista di Garcia, e Tamar Novas, l’attore galiziano che interpreta l’agente segreto Manolo. La produzione ha chiaramente un pubblico di riferimento spagnolo, ma, come accade sempre più spesso per le produzioni globali per le piattaforme streaming, c’è qualcosa che da questa lunga storia personale rimane come un insegnamento per tutti, e cioè che a volte non c’è possibilità di rimarginare le ferite più profonde, quelle prodotte da grandi ingiustizie, da comportamenti collettivi disumani, dalla barbarie delle guerre civili e dal rigetto dei valori basilari della vita umana. Non c’è rappacificazione che tenga, si può convivere con questo dolore, guardare avanti, ma mai condividere o perdonare. La Spagna in questo è un Paese evoluto, noi italiani abbiamo a volte pensato di poter trattare pagine buie della nostra storia come qualcosa che possiamo rimuovere o semplicemente mettere tra parentesi.
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