Oggi la Turchia compie 101 anni, ma il Paese sta vivendo un momento molto delicato della sua storia. Ha avviato un processo di pacificazione con il Pkk, che però ha conosciuto una battuta d’arresto con l’attentato suicida messo in atto proprio da due curdi ad Ankara nella sede delle Turkish Aerospace Industries e deve fare fronte alla crisi mediorientale. Lo storico piano di normalizzazione dei rapporti con i curdi proseguirà comunque: Erdogan, spiega Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, ne ha bisogno per cambiare la Costituzione ed estendere i mandati del presidente, ma anche per non avere intralci al corridoio che, passando dall’Iraq, porterà le merci in Europa. Un’importante alternativa al Mar Nero, ora bloccato dalla crisi ucraina, e alle vie ora ostacolate dalla guerra in Medio Oriente.
La Turchia torna ad essere obiettivo degli attacchi terroristici. Da dove nasce il blitz di Ankara?
Il Pkk ha ufficialmente negato ogni responsabilità: dice che gli attentatori sono mine vaganti, hanno agito in maniera autonoma. Per capire la situazione però bisogna rifarsi a un paio di giorni prima, quando Devlet Bahçeli, alleato con Erdogan e leader del partito nazionalista, in Parlamento ha clamorosamente fatto riferimento al riavvio di un processo di pace con il Pkk, rivolgendosi direttamente ad Abdullah Ocalan, storico leader del partito curdo. Un’iniziativa sorprendente perché i nazionalisti si sono sempre opposti a qualsiasi istanza curda in quanto lederebbe lo spirito di unità della nazione.
Non ci si aspettava un’apertura del genere?
Erdogan sta lavorando per la stesura di una nuova Costituzione: quella attuale è stata imposta dai militari nel 1980 e modificata molte volte, ma viene ancora percepita come una Costituzione con impianto militarista. Il presidente turco sta investendo nel dialogo fra tutte le fazioni politiche, anche perché vuole estendere i mandati della presidenza: oggi non si potrebbe più candidare. C’è un grande scoglio da superare, però, per raggiungere questo obiettivo: non ha i numeri né per andare a elezioni né per un referendum. Per questo ha riavviato la pacificazione con i curdi. Un tentativo era stato messo in atto nel 2013, ma era fallito due anni dopo.
Parlare di curdi significa mettere sul tavolo il tema dei rapporti con Siria e Iraq: quali sono i nodi da sciogliere da questo punto di vista?
La Turchia riconosce il Pyd come costola gemella del Pkk in Siria e ha cercato di colpire le sue cellule con ripetute incursioni aeree, secondo una strategia seguita anche nel nord dell’Iraq. Con il governo di Baghdad, tuttavia, è stato firmato un accordo che legittimerebbe i turchi a colpire i curdi in territorio iracheno. In Siria la questione è più delicata. C’è in atto un tentativo di normalizzazione con Assad, in cui il principale elemento di frizione riguarda proprio la presenza delle milizie curde, che si scontra con la presenza militare di Ankara in territorio siriano come avamposto per prevenire l’espandersi della violenza in Turchia.
Ma i curdi sono anche in Iran, su questo fronte come agisce Erdogan?
Con tutto quello che sta succedendo in Medio Oriente la Turchia si trova davanti a un grande dilemma: se dovesse cadere il regime iraniano, le cellule del Pkk (che lì si chiama in un altro modo, ma è sempre la stessa cosa) potrebbero acquisire potere. Per questo negoziano con i curdi, per cercare di sistemare tutto prima che eventualmente la situazione precipiti.
Quindi l’attentato in Turchia è voluto da frange curde che si oppongono alla normalizzazione?
C’è un problema di leadership tra i curdi: Ocalan è anziano e non è riconosciuto dai giovani. Probabilmente non tutti nei gruppi della resistenza curda credono nella genuinità del processo. Anche il fatto che nell’attentato sia stata colpita l’industria aerospaziale turca è significativo. Erdogan basa su questo il futuro del Paese, che vuole trasformare in un security provider: già ora vende droni a molti Stati, compresi quelli della NATO.
L’attentato è un duro colpo per Erdogan, tra l’altro, proprio nel momento in cui sta cercando di entrare nei BRICS. Il presidente ha subito una battuta d’arresto anche su questo versante?
Tutto è successo mentre Erdogan era a Kazan, al summit dei BRICS; l’attentato può essere visto come un tentativo per ledere l’immagine e la credibilità della Turchia, tanto più che è proprio la Russia di Putin in Siria a sostenere più o meno tacitamente il Pyd. Mosca agisce come garante di Assad, che vuole far restare i curdi perché altrimenti l’alternativa sarebbero le basi militari turche, che già ci sono. Tutto questo tenendo conto che, alla fine, storicamente i curdi vengono scaricati un po’ da tutti.
Erdogan vuole pacificare l’area intorno alla Turchia, ma intanto ha reagito all’attentato bombardando i curdi in Iraq e in Siria. Una contraddizione?
È stata una rappresaglia, ma questi bombardamenti succedono periodicamente ormai da qualche anno. C’è un altro aspetto importante, comunque, da tenere presente: con l’Iraq è stato siglato un accordo per Il Development Road project, un corridoio che deve passare dal Golfo Persico, attraversare il territorio iracheno e arrivare nel sud della Turchia per convogliare le merci fino all’Europa. Un progetto ambiziosissimo, che ha messo d’accordo tutti gli stakeholder regionali.
Un progetto che i curdi possono ostacolare?
Ai confini turchi, in Iraq come in Siria e Iran, c’è il problema del Pkk: sarebbe meglio calmare la situazione e accordarsi con loro per portare a compimento il progetto. Serve per lanciare la Turchia a livello regionale in un momento in cui il Mar Nero è bloccato dal conflitto ucraino e il Medio Oriente è sempre più in fiamme. Per questo il processo di pacificazione con i curdi andrà avanti.
Per Erdogan rimangono però da risolvere i nodi della crisi economica e dell’entrata nei BRICS. Come si muoverà?
Per quanto riguarda la situazione finanziaria, il tasso di inflazione sta scendendo, anche se rimane molto alto e i turchi ne stanno risentendo. Sul versante BRICS, invece, non ci sono dichiarazioni ufficiali. La Turchia, comunque, in Medio Oriente svolge un importante ruolo di raccordo tra i membri NATO e l’Iran, sta tenendo alta l’attenzione sul genocidio di Gaza con un dossier da presentare all’ONU ed è ancora il primo Paese, con l’Egitto, impegnato a inviare convogli umanitari nella Striscia.
I suoi contatti con l’Iran possono servire ad abbassare la tensione in Medio Oriente?
Ad aprile, in occasione della risposta israeliana all’attacco iraniano, la Turchia era costantemente in contatto con i vertici NATO e con l’Iran. Recentemente, poco prima della nuova escalation di violenza, il ministro degli Esteri iraniano è stato ad Ankara. La diplomazia turca è impegnata per un cessate il fuoco.
Erdogan, insomma, non ha intenzione di rinunciare ai suoi piani “imperiali”?
Lo vedo stanco fisicamente, ma ancora sul pezzo. Non credo che lui abbia veramente la percezione di quello che succede nel Paese. Dopo le elezioni municipali si è calmato perché sa che gli equilibri sono fragili, per questo sta avviando dei cambiamenti anche all’interno del suo partito e ha già annunciato un rimpasto di governo. È saldo quando deve affrontare le grandi questioni internazionali, meno su quelle più locali che toccano gli interessi della vita quotidiana.
(Paolo Rossetti)
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